Mentre il governo studia un modo per arginare i rincari delle bollette, i dati Istat sull’inflazione confermano il rischio della stangata dovuta all’aumento dei prezzi dei beni energetici. Dal più 18,6% di luglio al più 19,8% di agosto. I prezzi accelerano sia per i combustibili, che toccano il +12,8% rispetto a un anno fa, sia per energia elettrica e gas, che balzano a +34,4%.
L’inflazione si porta così a un livello che non si registrava da gennaio del 2013, quando era al +2,2%. L’indice nazionale dei prezzi al consumo cresce dello 0,4% su base mensile e del 2% su base annua.
E a questa dinamica contribuiscono, anche i prezzi degli alimentari non lavorati, che invertono la tendenza da -0,2% a +0,8%. Determinando così il ritorno alla crescita dei prezzi del carrello della spesa: cosa che non accadeva da febbraio 2021.
La componente di abitazione, acqua, elettricità e combustibili è quella che cresce più di tutte con un più 9,6%. Il prezzo del gasolio per i mezzi di trasporto sale del 17% rispetto a un anno fa, la benzina segna un +17,6%. L’energia elettrica a mercato libero in un mese fa segnare un +6,9%, invertendo la tendenza del ribasso.
Tra gli alimenti, accelerano i prezzi dei vegetali freschi o refrigerati diversi dalle patate (da +0,8% del mese precedente a +3,3%; -0,2% rispetto a luglio), mentre quelli della frutta fresca o refrigerata registrano una flessione meno marcata (da -4,9% a -2,6%; +1,0% il congiunturale). In crescita anche i prezzi degli alimentari lavorati, che passano da +0,2% a +0,5%.
L’indice armonizzato dei prezzi al consumo registra un aumento dello 0,2% su base mensile e del 2,5% su base annua (da +1% di luglio). L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, al netto dei tabacchi, registra un aumento dello 0,5% su base mensile e del 2,1% su base annua. L’inflazione riguarda tutta Italia, ma è al di sopra del dato nazionale nelle isole (+2,4%), al Sud (+2,3%) e nel Nord Est (+2,1%). Tra le città, l’aumento maggiore dei prezzi si registra a Catania (+2,8%), Bari e Reggio Emilia (entrambe a +2,7%).
Beni energetici
Il problema dell’aumento del prezzo di luce e gas non riguarda solo l’Italia ed è dovuto sia all’aumento dei prezzi delle materie prime sia all’aumento dei costi per le aziende che producono energia.
Con la ripartenza post pandemia, la domanda di materie prime è cresciuta rapidamente, ma le materie prime risultano difficili da reperire a causa di problemi di disponibilità e di trasporto. Non solo.
Alcuni problemi nei giacimenti del Mare del Nord hanno ridotto la disponibilità del gas prodotto in Europa. E il progressivo esaurimento di uno dei più importanti giacimenti nei Paesi Bassi non sta aiutando. A questo, va aggiunto anche il fatto che è stata l’Asia è stata la prima a ripartire con l’economia. E così le navi sono partite prima verso Cina e Giappone e dopo verso l’Europa. Inoltre, sono calate le esportazioni della Russia verso la Ue, a causa delle tensioni politiche nel raddoppio del gasdotto North Stream.
Un ulteriore fattore, poi, è l’aumento dei prezzi dei permessi per emettere anidride carbonica, che le aziende si scambiano attraverso l’Emission trading system europeo. Il sistema di emissioni stabilito dalla Ue si basa su un principio: le grandi aziende di tutta Europa devono pagare per poter inquinare. Ma le emissioni si possono anche scambiare tra le aziende: se un’azienda inquina di più di quanto previsto, si trova costretta a comprare altri permessi, aggiungendo quindi un nuovo costo, mentre chi riuscirà a ridurre le emissioni può venderle. Visto che le politiche green della Ue hanno fatto aumentare la domanda di permessi, si sta verificando un boom dei prezzi dei diritti, che ora sono ai massimi storici, intorno a 50 euro per tonnellata di anidride carbonica. Così può succedere che le aziende recuperano questo costo sulla bolletta energetica e quindi sulle tariffe dei consumatori.
Beni alimentari
Come aveva già messo in guardia il presidente di Coop Italia Marco Pedroni, in occasione della presentazione del Rapporto Coop 2021, l’inflazione comincia a sentirsi anche sui beni alimentari. Con aumenti di listino per la grande distribuzione fino all’8%, che presto si vedranno anche nel carrello.
È schizzato, in particolare, il grano, con il prezzo cresciuto del 60% a settembre rispetto al 2020, raggiungendo quasi i livelli record dei primi mesi del 2008. Il motivo, in questo caso, è la mancanza della materia prima. Nel mondo mancherebbero 3 milioni di tonnellate di grano duro, in particolare per il blocco del raccolto di Canada (maggiore produttore ed esportatore mondiale di grano duro) e Stati Uniti, duramente colpiti dalla siccità estiva. Una situazione che genera un aumento dei prezzi della pasta e del pane, che comincia a ripercuotersi sugli scaffali dei supermercati.
La crisi dei container
Va considerato poi anche l’aumento dei prezzi dei noli, ossia le tariffe richieste dagli armatori per trasportare i container. Dalla ripresa del commercio mondiale post pandemia, dopo che il lockdown aveva bloccato i traffici via nave e lo stop dovuto all’incidente della EverGiven nel Canale di Suez, i costi sono schizzati alle stelle.
Con il lockdown, le compagnie di navigazione avevano venduto o tolto dal servizio di linea diverse unità delle flotte di portacontainer, visto che non c’era domanda. Poi, prima la Cina, e successivamente il resto del mondo, hanno ripreso a correre, a produrre e a esportare. Da qui, una nuova impennata nella richiesta di navi e di container con cui spedire le merci. E i prezzi dei noli sono cresciuti.
In tutto il mondo, i produttori di beni di consumo devono fare i conti con prezzi sempre più alti e ritardi nelle consegne. Tanto che le grandi società di largo consumo, come Walmart e Ikea, stanno noleggiando direttamente le portacontainer da caricare solo con le proprie merci. Il colosso svedese del mobile ha fatto sapere anche che sta acquistando container propri, con l’intento di spostare alcune forniture anche sui trasporti ferroviari per aggirare i rincari.