Eduardo e Peppino, Totò, Troisi, ma su tutti San Gennaro che nell’ultima “comédie humaine” di Sorrentino è secondo solo a Maradona. Nel capoluogo campano è tra le statuette più vendute nella via dei presepi, il mistero partenopeo che neanche la scienza è riuscita a mettere in discussione, l’omonimo tesoro di ineguagliabile ricchezza da fare gola persino alla Corona inglese. Si stima che sia il Santo cattolico più venerato con circa 25 milioni di fedeli nel mondo e dal 1926 viene festeggiato persino oltreoceano, nella Little Italy newyorkese durante “Feast of San Gennaro” a colpi di zeppole e salsicce.
La sua eccezionalità è testimoniata soprattutto dal rapporto speciale tra i devoti e il martire che ha vissuto immeritati risvolti folkloristici. È il solo patrono di proprietà esclusiva del popolo napoletano e, se fosse un piatto, per assonanza sarebbe una porzione di Spaghetti alla Gennaro, i preferiti di Totò, un primo povero a base di acciughe, aglio, pane raffermo e pomodorino, in realtà non così usuale nei menu partenopei. Più scelta hanno, invece, gli sugar addicted all’annuale corte dei miracoli del contest “Un Dolce per San Gennaro” che puntualmente, a inizio settembre, fa sfidare i migliori pasticceri campani in celebrazioni poco liturgiche e più glicemiche. Nel 2020 ad avere la meglio è stato ‘e sango, nun è acqua, una madeleine fatta santo che riproduceva la sagoma con l’immancabile copricapo a punta, servita con bavarese alla vaniglia, gelatina di amarene e copertura di cioccolato bianco; quest’anno si è già gridato uau miraculo ‘è San Gennaro, con il primo finalista che fa reincarnare il santo in una chiffon cake su base biscotto paradiso arricchita con confettura extra di fragole e rivestita con polvere di liquirizia e rosmarino sbriciolato. Un culto che attende solamente di essere riconosciuto come Patrimonio Immateriale dell’Umanità insieme agli altri 10 siti campani, tra cui la Dieta Mediterranea e l’arte dei Pizzaiuoli napoletani, la Costiera Amalfitana e la pratica della Transumanza, e che dal 2018 ha trovato il proprio tempio gastronomico nel cuore della città.
In California c’è il Gran Cafe a tema Hello Kitty, a Pechino è stato ricreato il Central Perk di Friends, a Roma l’estate scorsa ha inaugurato il primo okonomiyaki street food d’Italia che riproduce le pietanze dei cartoni animati mentre a Napoli c’è l’unico ristorante con bottega al mondo dedicato a San Gennaro. Una notizia che potrebbe non destare troppa curiosità se non si sapesse che Januarius, nomen omen, poco da fare, è l’insegna culinaria a vocazione meridionalista inaugurata quattro anni fa proprio il 19 settembre, uno dei tre giorni dell’anno (forse il più importante per scongiurare le sorti nefaste della città) in cui si attende il cosiddetto “miracolo” della liquefazione del sangue; la location è a immagine e somiglianza del santo tra citazioni, colori, design e un pavimento che riproduce quello della cappella dove è custodito il suo inestimabile tesoro; è strategicamente posto di fronte al Duomo di Santa Maria Assunta all’interno del quale si celebra la consueta messa nel giorno del patrono, quest’anno ristretta a 450 fedeli; il ristorante fa da wunderkammer e diventa galleria d’arte esponendo la più grande collezione di oggetti a tema devozionalenale in città, quindi ricami a uncinetto, origami, sculture, quadri e fotografie di artisti locali. Last but not least, il suo proprietario era ateo prima di aprire questo luogo del gusto e poter gridare al miracolo.
Visualizza questo post su Instagram
Francesco Andoli svolgeva la professione giornalistica a Roma, città nella quale viveva, ed era ancora agnostico quando circa 9 anni fa fu costretto a rientrare a Napoli, non pensando di riscrivere anche la propria vita. Ha sempre creduto nelle potenzialità di questa città e nella sua bellezza di “teatro antico, sempre apierto” enfatizzata da De Filippo fino a non mettere in discussione quella che Luciano De Crescenzo definiva “energia psichica propria dei napoletani”, la sola popolazione a poter determinare un prodigio simile allo scioglimento del sangue. A metà dello scorso decennio, rilevò un locale di fronte al Duomo, all’epoca chiuso a causa della crisi che aveva colpito i negozi di cerimonie nel centro storico. La prima quaestio fu: «ma io di fronte a me cosa ho?». L’ingresso del ristorante guardava la facciata della Cattedrale, così Francesco cominciò a fare domande scoprendo curiosità che la quasi totalità dei cittadini ancora ignora. Si rese conto della potenza di questo santo e familiarizza con la sua figura fino a essere tra i sostenitori della realizzazione del suo iconico murales firmato da Jorit a Forcella. Nel 2016 fu a capo della protesta che si scagliò contro un decreto per inserire quattro membri della curia all’interno della Deputazione di San Gennaro, organismo esclusivamente laico e composto da 12 persone che hanno la responsabilità di custodirne le reliquie e il tesoro, e che laico alla fine è rimasto.
Visualizza questo post su Instagram
Francesco oggi è l’oste che tra un’ordinazione e l’altra racconta aneddoti storici mettendo alla prova anche chi crede di sapere tutto su San Gennaro. Nel ristorante con bottega al banco del fresco e a scaffale promuove prodotti del Mezzogiorno, con una particolare sensibilità ai vitigni del Sud Italia e verso altre referenze regionali e artigiani alle vecchie maniere, come il micro pastificio Caccese in Irpinia che produce e trasforma il suo stesso grano in pasta secca trafilata al bronzo. Stesse materie prime che vengono usate in cucina, supportate da un menu a forte valenza semantica, come nel caso dello Spaghetto Faccia Gialla, nome affettuoso con cui i napoletani chiamano il santo che sfila statuario in processione; oppure il San Gennaro Futtatenne, espressione colorita che si materializza in un dolce intrinsecamente simbolico a base pan di spagna al lampone – rosso come il sangue -, albicocca – per il cosiddetto “miracolo laico” in memoria dell’eruzione vulcanica del 16 dicembre 1631 che San Gennaro arrestò alle porte di Napoli – e polvere di liquirizia – rimarcando in questo modo le sue incerte origini, forse calabresi, che lo riconducono addirittura nella provincia di Vibo Valentia, dove si dice fu figlio di un guardiano dei porci che cambiò vita seguendo un predicatore. Sebbene non ci sia una vera e propria tradizione culinaria legata al San Gennaro Day, l’esperienza gastronomica e culturale da Janiuarius fa arricreare anche il più scettico. Provare per credere.