Hanno ragione Scalpelli e D’Alfonso: sullo stadio non c’è più spazio per gli equivoci. E allora bisogna sgomberare il campo da ogni ambiguità. È interesse pubblico avere due grandi club internazionali che hanno la propria sede a Milano dandole lustro? Direi di sì. L’interesse di Milan e Inter nell’avere un nuovo e proprio stadio che dia ossigeno ai loro bilanci (e magari permetta di acquistare nuovi campioni) è per forza in conflitto con quello dei milanesi di avere un impianto sportivo efficiente in una condizione urbanistica all’altezza? Non per forza.
Se si parte da questi due dati è possibile immaginare un nuovo futuro per un’area che questa volta sì, a dispetto di quanto si è detto in passato, rischia davvero di diventare una landa deserta e degradata. Le difficoltà finanziarie le squadre le hanno e una soluzione intendono prenderla. La possibilità che la trovino altrove, immaginando di costruire nuovi impianti in aree oggetto di grandi trasformazioni subito fuori dai confini amministrativi di Milano, è concreta. E di conseguenza il rischio che il Comune rimanga con il Meazza vuoto ma di proprietà è altrettanto plausibile. Come è altresì plausibile che una squadra trovi altre soluzioni e palazzo Marino sia costretto a svendere all’altra San Siro, con conseguente danno erariale.
Credo che due siano gli errori fatti in questi anni dall’amministrazione uscente. Il primo: l’aver difeso la proprietà pubblica dello stadio in nome di un malinteso valore sociale dello sport. Secondo: l’approccio ideologico ambientalista per cui ogni discussione sulla rigenerazione di interi “pezzi” di città parte dai limiti agli indici volumetrici. Già con l’approvazione del Pgt targato Maran-Sala si è fatto un grosso errore da questo punto di vista. Infatti nel dibattito del Consiglio comunale la maggioranza scelse di accompagnare le sei aree identificative di «Grandi funzioni urbane» (tra cui lo stadio) da funzioni accessorie (uffici, hotel, centro commerciale, centro congressi, eccetera) per sostenere economicamente interventi di rigenerazione e stabilendo contestualmente un limite dimensionale di 0,35 metri quadri di superficie costruibile. In questo modo si bocciò un’altra proposta, avanzata dal sottoscritto, che invece andava a privilegiare la definizione generale di cosa siano le «Grandi funzioni urbane», lasciando che nel tempo fossero la città con i suoi operatori a identificarle e permettendo inoltre loro di superare l’indice massimo di edificabilità (mediante perequazione e trasferimento di diritti edificatori) a saldo generale invariato, al fine di realizzare funzioni accessorie compatibili e necessarie a garantire la sostenibilità economica della rigenerazione stessa dell’area.
Di fatto si preferì fare un emendamento ad hoc per San Siro, salvando però l’impostazione rigido-ambientalista che ispira il centrosinistra. Il risultato è che per sostenere 1 miliardo e 200 milioni di investimenti i club chiedono un indice di 0,67 comprensivo della rifunzionalizzazione del vecchio Meazza, pure richiesta da un altro voto dell’aula di palazzo Marino. Per evitare lo scenario di cui sopra verosimilmente giunta, Milan e Inter arriveranno a un compromesso sulle volumetrie in deroga alle stesse regole che il Comune ha rigidamente previsto nel proprio Piano di governo del territorio. Confermando oltretutto un approccio all’urbanistica che vede l’amministrazione forte con i piccoli e medi operatori e debole con i grandi gruppi.
Ora l’iter amministrativo per la realizzazione del nuovo stadio è partito da un pezzo. Ritengo tecnicamente impossibile tornare indietro, abbandonare la strada della legge sugli stadi e intraprendere quella di una società Comune-privati in stile Arexpo – pena una possibile rivalsa degli interessati su palazzo Marino. Pasticci ne sono stati fatti tanto dai club (che hanno avuto l’improvvida idea di partire dall’ipotesi di abbattere il Meazza) quanto dal Comune, con la sua ostinazione ideologica a governare il territorio esclusivamente attraverso indici, vincoli e limitazioni. Ad ogni modo è possibile uscirne impegnando tutti i soggetti interessati a prevedere ricadute positive in termini di oneri di urbanizzazione per interventi a vantaggio del quartiere popolare di San Siro.
Da questo punto di vista non mancano progetti interessanti di importanti architetti che – a costo zero per il Comune – prevedono di realizzare nuove costruzioni in aree libere e ad elevata accessibilità (come per esempio piazza Segesta) dove mano a mano ricollocare gli abitanti delle case popolari che ne hanno diritto e procedere così all’abbattimento di quest’ultime. Così non ci si limiterebbe a operazioni di restyling, ma si procederebbe a una vera e propria sostituzione dell’esistente creando anche nuovi spazi pedonali e aree verdi di qualità.
Matteo Forte è consigliere comunale di Milano Popolare