RipresaPerché le piccole imprese stanno assumendo molto di più delle grandi

Tra aprile e giugno 2021, nelle aziende con un minor numero di addetti ci sono state un milione e 408 mila assunzioni a tempo determinato e 721 mila a indeterminato. Più del doppio di quelle fatte da società di grandi dimensioni

LaPresse

Le micro e piccole imprese sono sempre state allo stesso tempo la spina dorsale e il ventre molle del sistema economico italiano, lo sappiamo. 

In quelle che hanno meno di 50 addetti lavora ben il 63,8% dei dipendenti italiani, 11,1 milioni su 17,4 nel 2019. 

E tuttavia è qui che ci sono i salari più bassi, a causa della minore produttività che tradizionalmente le caratterizza, almeno in paragone alle imprese più grandi. E soprattutto negli ultimi 13 anni di crisi e faticosa ripresa proprio per questi motivi sono state queste imprese quelle che hanno pagato di più in termini di numero di lavoratori e naturalmente di fatturato. 

E tuttavia in questa fase di ripresa, che in questo momento prende ancora le sembianza di un mero rimbalzo, sembrano essere tornate protagoniste.

Sono naturalmente ancora dati parziali, proprio perché si riferiscono ai primi sei mesi del 2021, in cui appunto le aziende si sono occupate soprattutto di riprendere l’attività che si era fermata per le restrizioni e le chiusure più che di intraprendere nuovi progetti, e però quello che emerge dai dati dell’Inps è che sono state soprattutto quelle micro ad assumere più lavoratori.

Dei 677 mila nuovi del secondo trimestre di quest’anno, facendo il saldo tra attivazioni e cessazioni, ben 296 mila avevano trovato un impiego in realtà con meno di 10 addetti. 

Si tratta del 43,8%, una percentuale vicinissima a quella, del 43%, dei dipendenti che già prima del Covid proprio in queste imprese lavorava. 

E tuttavia è degna di nota, perché era da molto tempo che tali aziende non erano così in prima fila nelle infornate di nuovi lavoratori. 

Nel secondo trimestre del 2019 per esempio erano stati solo 104 mila su 339 mila i nuovi assunti nelle micro-imprese, nel secondo del 2018, ancora meno, solo 100mila su 420 mila.

E si deve andare indietro fino alla fine del 2015 e all’inizio del 2016 per trovare un’imponente quantità di nuovi assunti in queste aziende. Era l’epoca delle decontribuzioni, quando lo Stato incentivava a reclutare in particolare giovani a tempo indeterminato con un taglio dei contributi previdenziali. 

Dati Inps

Le micro-imprese del resto sono le più sensibili alle agevolazioni pubbliche, così come alla congiuntura. Non è un caso che nel periodo peggiore della crisi dell’euro, fino al 2014, erano state queste le aziende in cui vi era stata la maggiore emorragia di lavoratori. Tuttavia lo stesso non è accaduto nel 2020, quando invece a vedere più cessazioni che attivazioni erano state soprattutto quelle piccole, tra 10 e 49 addetti. e quelle più grandi, con più di 250.

In queste ultime, al contrario, l’andamento delle due curve, in entrata e in uscita, è sempre stato più parallelo, e meno soggetto a grandi scossoni, con incrementi e cali che sono andati di pari passo.

Dati Inps

Non è questa però la principale differenza nel comportamenti di grandi, medie, piccole e micro imprese. 

Quella più rilevante riguarda il tipo di contratto preferito. Beninteso, in tutti i casi a prevalere almeno da quando sono terminate le decontribuzioni in larga scala (sono rimaste parzialmente solo per il Mezzogiorno) e dopo la fine dell’effetto del Decreto Dignità, nel 2019, è quello a tempo determinato, ma è in quelle con più di 250 addetti che tra le attivazioni di nuovi posti permanenti e a termine vi è il maggior divario, anche volendo calcolare le trasformazioni da tempo determinato a indeterminato.

Nel secondo trimestre 2019 per esempio a fronte di 1 milione e 912 mila nuove assunzioni, un picco degli ultimi anni, a termine ve ne erano state solo 276 mila permanenti (trasformazioni incluse).

E un grande gap si è verificato tra aprile e giugno del 2021, quando le attivazioni sono state rispettivamente un milione e 382 mila e 329 mila.

Nelle aziende più piccole invece vi sono state, sì, più assunzioni a tempo determinato, un milione e 408 mila, ma soprattutto molte di più a tempo indeterminato, 721 mila, più del doppio che in quelle con più di 250 addetti.

Dati Inps

Volendo ulteriormente distinguere tra nuove attivazioni vere e proprie e trasformazioni dai dati emerge come queste ultime siano distribuite in modo piuttosto equo in tutte le tipologie di aziende, e quindi proporzionalmente di più in quelle più grandi, che hanno complessivamente meno dipendenti, mentre si conferma come sia in quelle micro che sono largamente di più assunzioni dirette a tempo indeterminato.

Dati Inps

Questo un po’ da sempre in realtà, e anche nel 2021. La novità come si è visto è che le cessazioni sono diminuite di più con il Covid nelle micro imprese e quindi maggiori risultano i nuovi contratti.

Dati Inps

Naturalmente questi numeri risentono di vari effetti in un certo senso “droganti”, soprattutto sul lato delle uscite. La presenza ancora del blocco dei licenziamenti, nonché della cassa integrazione, così come dei sostegni varati dal Governo per attutire gli effetti della crisi, e ancora la moratoria dei mutui e dei finanziamenti.

Tuttavia ci sono dati strutturali che si possono scorgere. Tra questi per esempio il massiccio uso di assunzioni in somministrazione lavoro nelle imprese più grandi. Ben 255 mila sono stati quelli che hanno iniziato a lavorare nel secondo trimestre di quest’anno con questo tipo di contratto, quasi il doppio che in quello corrispondente del 2020, con un incremento analogo a quello che si scorge per altri. 

Dati Inps

I lavoratori in somministrazione tra l’altro sono quelli che negli ultimi anni sono cresciuti maggiormente. 

Un ulteriore segno della fragilità di questa ripresa. Che però, pur con i caveat del caso, sta mostrando perlomeno una volontà di riscatto da parte dei piccoli e un dinamismo su cui prima del Covid era lecito avere dei dubbi.

Il 2022, senza blocchi o incentivi straordinari, sarà il banco di prova non solo per il nostro Pil, per verificare se saprà andare oltre il rimbalzo di quest’anno, ma anche per il mondo del lavoro, che dovrà dimostrare di essere qualitativamente più robusto, per tutti, e non solo per poche grandi imprese.

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