Lavorare con le parole presenta molte insidie, soprattutto se gli argomenti trattati sono complessi e hanno diverse chiavi di lettura. Può capitare che alcune affermazioni risultino aggressive, dannose o foriere di pregiudizi: fa parte dei rischi del mestiere. È successo agli speaker di Radio Statale, un’associazione di radioamatori ai quali l’Università Statale di Milano concede l’uso delle proprie apparecchiature radiofoniche (la radio è libera, autogestita e l’Ateneo non ha nessuna responsabilità sui contenuti editoriali).
La scorsa primavera, in una trasmissione Twitch che parla del conflitto tra Israele e Palestina, due speaker dell’emittente hanno fatto una cronaca decisamente di parte: rasentano l’istigazione all’odio antisemita, dicono che il termine «conflitto» non si può più utilizzare, che tali sono le «atrocità» degli israeliani che sarebbe più opportuno usare il termine «genocidio».
Alcune dichiarazioni, riportate da Bet Magazine Mosaico – testata della Comunità ebraica di Milano – sono fin troppo aggressive: «Non siamo indifferenti qui a Radio Statale, vi vogliamo raccontare quello che sta succedendo […] il conflitto è a poche migliaia di chilometri da qui ed è un conflitto che non ha a che fare con attacchi mirati, non con bersagli strategici, ma è un conflitto che parla dello sterminio di una popolazione (quella palestinese, ndr) che ormai si trova senza forze e senza speranze, nel silenzio della comunità internazionale», dicono in trasmissione i conduttori.
E poi ancora: «Il racconto di una guerra che guerra non so se si può chiamare perché ormai sta diventando quasi più un genocidio. Anche se è una parola fortissima va detta anche perché il linguaggio plasma la nostra realtà», ha detto un conduttore.
Frasi che non potevano passare inosservate, specialmente tra i redattori di Radio Statale. Solo che quando due collaboratori dell’emittente hanno fatto notare che un simile linguaggio era quanto meno inopportuno, sono stati prontamente sospesi a tempo indeterminato.
Infatti i giornalisti Paolo Castellano e Fabio Simonelli, speaker del programma Eurovisione (sempre di Radio Statale), hanno segnalato i contenuti offensivi e chiesto la rimozione del video da Twitch: la loro idea è che quelle parole avrebbero potuto incitare all’odio contro Israele, e hanno denunciato l’uso improprio di termini come genocidio e sterminio.
«Poco dopo la messa in onda di queste inaccettabili falsità e diffamazioni nei confronti dello Stato d’Israele (e che potrebbero condurre all’antisemitismo), ho contattato telefonicamente il direttore Marco Cangelli di Radio Statale mentre la puntata era ancora in diretta. Gli ho fatto notare la gravità delle affermazioni e lui si è scusato personalmente con il sottoscritto. Tuttavia, gli ho fatto presente che l’incidente non riguardava soltanto la mia persona ma che il solo fatto di veicolare messaggi falsi e propagandistici che diffamavano Israele avrebbero potuto mettere in pericolo soprattutto gli studenti israeliani iscritti all’Università Statale di Milano nonché i numerosi studenti italiani di fede ebraica, visto il clima d’intolleranza in alcuni atenei europei nei confronti di ricercatori e studenti di queste origini. Cangelli, insieme ad altri membri del Consiglio Direttivo, era presente nella chat del programma quando le parole sterminio e genocidio sono state pronunciate», ha dichiarato Paolo Castellano a Bet Magazine Mosaico.
La risposta, però, non è stata quella che ci si sarebbe potuti attendere. Il 20 maggio c’è stato un colloquio telefonico tra il responsabile dei programmi di Radio Statale e Castellano. «È stata una chiamata difficile da gestire. Siamo stati accusati di aver infamato la radio. E sono stato intimidito verbalmente con urla incivili. Tuttavia, ho ribadito e difeso quanto detto nel podcast a proposito della pericolosità delle parole utilizzate su Twitch contro Israele», ha aggiunto Castellano.
Poi il 23 luglio il Consiglio Direttivo dell’associazione di Radio Statale ha deciso all’unanimità di sospendere a tempo indeterminato la trasmissione condotta da Castellano e Simonelli, senza possibilità di appello e senza preavviso.
Non è la prima volta, soprattutto nel giornalismo, in Italia e nel resto del mondo, che avvengono episodi di questo tipo. L’uso delle parole contribuisce al valore dell’informazione e alla creazione di una cultura collettiva: usare parole estreme, come genocidio e sterminio, può alimentare il pregiudizio antisemita e creare una narrazione distorta dei fatti.
Se poi chi fa notare il problema viene punito anziché ascoltato dovremmo preoccuparci dell’appiattimento del pensiero e della conformità a ideologie estreme e valutazioni sommarie.