Un gesto di generosità politica è come i promotori della lista I Riformisti per Beppe Sala hanno definito il progetto di unirsi sotto un solo simbolo. C’era, più forte di ogni identità di partito, l’idea, anzi la presa d’atto della necessità di un nuovo soggetto politico contro i populismi, i rigurgiti ideologici e i sovranismi beceri.
Milano era – è – luogo politico, civico, ideale per fondare e mettere subito alla prova del consenso elettorale un progetto riformista. Già su questa pagina, candidati e promotori hanno ben spiegato i tratti comuni, la comune tensione a individuare i problemi e dare risposte concrete e solide. Così è la milanesità, così è il riformismo ambrosiano.
Tuttavia ora, a due settimane dal voto, serve una riflessione molto concreta e orientata, qui ed ora, al risultato.
Il risveglio di Milano va accompagnato, i segnali che il super Salone e la Fashion Week stanno dando sono importanti, ma il nodo di fondo è costituito dalle nuove marginalità determinate dalla pandemia. L’esito peggiore possibile sarebbe quello di osservare un pezzo di città che riparte e un pezzo più grande di prima che entra in una condizione di dolore sociale. Accompagnare Milano, avere ben chiaro l’equilibrio necessario tra equità e libertà, è il compito di una buona politica e in essa il progetto riformista è fondamentale.
Ecco la missione della lista de I Riformisti che rimarrà in campo come tale anche dopo le elezioni, sperando che parta un progetto federativo capace di unire l’intero campo liberaldemocratico. Ecco perché, a differenza delle mode dell’antipolitica, ritengo che Azione, Iv e Più Europa debbano dire al proprio singolo elettore: “Noi a Milano ci siamo, noi abbiamo dato vita alla lista i Riformisti.”
Italia Viva che ha prodotto idee diventate leggi, e che ha sacrificato una comoda rendita di posizione per dare al paese una dimensione di rinascita con l’esecutivo Draghi; Azione, che a testa bassa ha portato nella politica il punto imprescindibile delle competenze e nella persona di Carlo Calenda ha lanciato una sfida nella capitale che è l’unica strada per far rinascere Roma, e con essa dare una seria sterzata alla ripresa del paese; e Più Europa che ho visto nascere, sola e combattiva nel pieno dell’esplodere dei sovranismi e del rigetto dell’appartenenza europea, e non arretra di un centimetro nel condurre battaglie civili; quell’Alleanza civica che a Milano si è fatta portavoce di uno spirito di comunità territoriale, ma anche gli interpreti del riformismo sociale e moderno di Base, e altre realtà autonomiste.
Contrariamente a quanto di solito accade in occasione delle elezioni, non è questo il momento di riporre le bandiere con i simboli dei partiti, anzi. Azione, Italia Viva e Più Europa le sventolino con orgoglio per affermare il loro impegno in un progetto di unità.
La prossima amministrazione di Milano dovrà registrare un potente risveglio della città, ma anche la necessità di non lasciare indietro nessuno.
La pandemia, come tutte le grandi crisi, riserva grandi opportunità, ma ha anche creato nuovi squilibri. Milano, la città della relazioni, delle opportunità che si autogenerano, il laboratorio continuo dell’innovazione e dell’iniziativa anche culturale, la città delle periferie che si trasformano e diventano nuovi centri, esce provata da un anno e mezzo spaventoso. Non parliamo di crisi economica, ma di un congelamento civile e umano.
Ricordate il celebre carosello del Cynar, con Ernesto Calindri seduto a un tavolino nel mezzo del traffico milanese? Lo slogan era «contro il logorio della vita moderna». Ecco, Milano che quel logorio lo ha metabolizzato fino a farne carburante per quella stessa vita moderna, ha conosciuto la sospensione, l’assenza, il fermo immagine. Per un anno e mezzo attorno a quel tavolino c’è stato il deserto, il vuoto.
E tutto ciò è accaduto dopo cinque anni di entusiasmo, di vita nella dimensione più internazionale che si potesse immaginare. “Portami all’Expo, che vediamo il mondo”, si diceva. E il mondo era diventato la città stessa. Tornare a esser così è vitale, ma noi non vogliamo dover registrare tra qualche anno nuove esclusioni senza essercene quasi accorti.
Ora chi si ritrova sotto il simbolo de I Riformisti, faccia un nuovo atto di generosità. Dica: “Siamo noi! Insieme ad altri, ma con tutto il bagaglio della nostra identità”. Comune lo strumento, comune il progetto. Ma i volti, le storie, i partiti, per giovani che siano restino con fierezza e forza. Sono le forze che più hanno resistito alla demagogia bipopulista, lasciando accesa una luce. Unità nella diversità, per arrivare a essere insieme in un futuro molto prossimo.