Fare delle forze liberaldemocratiche e riformiste milanesi un unico e affiatato team: è questa la suggestione lanciata dall’evento “Un team di Riformisti per una Milano capitale europea dell’innovazione, diversità e inclusione”, promosso da Luca Marchiori e Marco Laganà il 18 settembre al Teatro Franco Parenti, con la partecipazione di alcuni dei candidati dei tre principali partiti che fanno parte della Lista Riformisti – Lavoriamo per Milano con Sala (Azione, Italia Viva e +Europa).
Una suggestione che sembra oltrepassare il tempo e lo spazio del contesto che l’ha generata, indicando la via, come ha sottolineato in apertura Sergio Scalpelli, di un percorso aggregativo nazionale che porti alla formazione di un terzo polo genuinamente europeistico.
Ma come riuscire dove illustri antesignani politici come Parri, La Malfa e Lussu hanno desistito? La ricchezza del pluralismo di queste forze cugine, ma non ancora sorelle, non si è auto-dissolta nell’epoca della post-ideologia. Le posizioni su alcuni temi restano distanti; i riferimenti politici e culturali in parte differenti; la tentazione identitaria forte. Certo, la congiuntura attuale sembra favorevole. L’altro grande cantiere nazionale – il governo Draghi – in cui molti scorgono il trailer di un’aggregazione liberal-riformista a venire, ha messo tutti seduti allo stesso tavolo. Ma questo è stato sufficiente, di per sé, a ridurre le distanze? Non del tutto. E allora perché non accorciarle, togliendo di mezzo il tavolo e lasciando seduti, in cerchio, alcuni dei protagonisti di questo beta-test locale?
E così più che un gruppo di candidati, si presenta un team-building politico. Ecco Giulia Pastorella e Daniele Maffioli Torriani (Azione), Lisa Noja e Gianmaria Radice (Italia Viva), Barbara Nicolini e Paolo Costanzo (+Europa) a combinare le proprie visioni, idee e proposte in una narrazione collettiva, esplorando aree di possibile sinergia. Ne emerge una picture globale della proposta liberaldemocratica e riformista per la crescita di Milano, articolata secondo i driver dell’innovazione, diversità e inclusione. Dimensioni complementari e interdipendenti se è vero, come sottolinea Daniele Maffioli Torriani, ristoratore e punto di riferimento della cultura milanese, che «la diversità fa parte del dna e della storia di Milano e ne rappresenta un fattore di successo per l’intera economia cittadina».
Basti pensare a quel quinto di residenti che milanesi lo sono “diventati” nel tempo e che arrivano, per oltre il 70%, da paesi extra-europei, come ha ricordato Gianmaria Radice. Si tratta di oltre 266mila persone, un pezzo fondamentale del Pil locale il cui contributo è stato molto sottovalutato.
Non si tratta, però, di un’amnesia solo milanese. Ai facili proclami del populismo imperante sfugge il circolo virtuoso che si instaura dove la promozione della diversità porta a valorizzare i talenti individuali e, così facendo, amplia la platea dei “contributor”, di chi può partecipare allo sviluppo dei contesti in cui vive.
Una ripresa che non coinvolgesse davvero tutti, ha avvertito Lisa Noja, rischia di creare uno sprint apparente che avanza su binari sconnessi e fragili.
Serve un punto di partenza, un focus politico dal quale sviluppare la visione e non può che essere, secondo Paolo Costanzo e Barbara Nicolini, ridurre subito e con forza le diseguaglianze, specialmente quelle di genere, che rappresentano una barriera all’accesso al mercato del lavoro per molte donne.
In conclusione all’evento è stata presentata una “to-do list” riformista, per rendere Milano «capitale europea dell’innovazione». Tra le priorità, la capolista, Giulia Pastorella, ha messo il problema della dispersione scolastica, il potenziamento degli asili nido per liberare la capacità produttiva femminile, l’avvio di una “fase 2” del piano di digitalizzazione della città che coinvolga appieno anche le sue strutture urbanistiche.
Ci sono davanti cinque anni cruciali, nei quali non si potrà far altro che mettere in campo idee e politiche coraggiose.