L’ennesimo contatto di ieri fra Mario Draghi e Matteo Salvini è stato più freddo del solito. Il presidente del Consiglio non deve certo essere esattamente entusiasta del fatto che il capo della Lega tutti i santi giorni scocchi qualche dardo avvelenato: una volta contro la Lamorgese, un’altra contro Speranza, adesso questo ostruzionismo sul green pass. Peccato per lui però che Draghi è uno che avendo trascorso molti anni a trattare con i banchieri centrali del mondo diciamo che ha un certo allenamento per poter discutere con uno come Salvini: e infatti ogni volta gli concede qualcosina pur non toccando nulla della sostanza. E l’ex Capitano ci casca.
Così il trucchetto leghista sul green pass di ritirare gli emendamenti salvo poi votare quelli di Fratelli d’Italia non ha certo incantato nessuno, men che meno Draghi. Ha fatto molto arrabbiare il Partito democratico, questo sì, un Pd che ormai non sopporta più gli stop and go di Salvini ed è spaventato dal fatto che è quest’ultimo a tenere la scena, sia pure senza apprezzabili risultati e anzi facendo pippa su tutto, è il dimenarsi per quanto scomposto dell’ex ministro dell’Interno a scandire la giornata politica, è il suo tatticismo ambiguo a fare notizia: mentre il Nazareno non buca, non detta l’agenda (il rinvio della sin qui imprescindibile legge Zan è la spia di questa debolezza), al massimo rattoppa gli strappi altrui oppure si scervella sul che fare nella partita del Quirinale.
Siamo in effetti in una situazione alquanto strana e contraddittoria. Il governo governa pur dando l’impressione di un qualche affanno come appunto sul green pass dove si è oscillati fra la voglia di introdurre l’obbligo vaccinale e un andamento lento di graduale estensione del green pass (che è poi la linea che verrà sancita oggi dal Consiglio dei ministri). Draghi, come detto, è costretto a mediare con Salvini. E gli mancano sponde politiche forti, sebbene il Pd sull’estensione abbia dato una mano a rintuzzare l’attacco leghista.
La verità è che è sempre più debole la coesistenza pacifica fra Pd e Lega nella stessa maggioranza. Forse anche perché entrambi hanno bisogno di additare ai propri elettori un chiaro nemico in vista delle pur lontane politiche del 2023. Ma questo entra fatalmente in collisione con le necessità di una situazione che richiede una larga convergenza nel nome dell’emergenza sanitaria ed economica, emergenza che probabilmente si protrarrà persino dopo le elezioni a scadenza naturale: ma se le premesse sono quelle che vediamo oggi, non è facile immaginare una nuova unità nazionale con Pd e Lega insieme. E quale ruolo assumerebbe allora un Mario Draghi che non fosse andato al Colle?
In ogni caso, chi rischia di più, in questa condizione difficile di larghe intese, è certamente Matteo Salvini. Dare un colpo al cerchio e uno alla botte può essere una buona tattica per qualche settimana, ma alla fine si finisce per scontentare tutti. L’uomo non può fare un altro Papeete e lo sa benissimo anche perché a Cernobbio oltre a farsi i selfie in riva al lago con Giorgia in rosa shocking avrà certo sentito dire da tutti gli imprenditori del Nord che Draghi non si tocca. Deve dunque stare attento perché se tira troppo la corda sotto le macerie politiche ci finisce lui, non certo Draghi, e nemmeno la Meloni.