Quanto tempo era che non leggevamo di una vittoria operaia? I più giovani coglieranno della buona notizia alla Gkn di Campi Bisenzio solo l’aspetto pratico – non si può licenziare la gente con una mail, ha sentenziato il tribunale – ma difficilmente ne coglieranno quello che per le generazioni più mature è stato sempre uno snodo della storia, un punto che separa il prima e il dopo.
Così come le sconfitte operaie per decenni hanno rappresentato ferite non rimarginabili nel corpo sociale e politico della sinistra (la Fiat, 1980), la vittoria anche di una singola vertenza segna nell’immaginario progressista un segno di tempi nuovi, l’annuncio di un cambiamento, la celebrazione della resistenza vittoriosa. Intendiamoci: questa è psicologia. Ma sappiamo bene quanto il clima incroci la politica, a volte. E dunque la sentenza del Tribunale di Firenze che dà ragione agli operai e torto ai padroni, al di là delle ragioni giuridiche, rimanda alla storia del giudice a Berlino. La ricordate?
A Potsdam, appunto vicino Berlino, l’imperatore Federico II di Prussia voleva espropriare il mulino di un mugnaio per abbatterlo solo perché danneggiava il panorama del suo nuovo castello. Pur di averla vinta, l’imperatore non esitò a corrompere tutti i giudici a cui il mugnaio si rivolgeva, ma il mugnaio riuscì a trovare un giudice onesto che lo aiutò a vincere la causa. La giustizia trionfa: oggi a Firenze, nel 2021. E forse non era nemmeno nelle attese.
Nello specifico, vinta una battaglia resta da combattere la difficilissima guerra contro le delocalizzazioni, ma per ora è giusto che gli operai facciano festa e che i sindacati cerchino di riacquistare quel ruolo negoziale che per varie ragioni hanno perduto. (E sia consentito notare, en passant, quanto sia più bella la battaglia sindacale alla Gkn delle interviste di Maurizio Landini per la gratuità dei tamponi per i no vax. Chiusa parentesi).
Ha vinto dunque il diritto, in sintonia con una lotta giusta. Questa è una data a suo modo storica perché, come si diceva, da qualche decennio siamo tutti abituati ad accettare la marginalità dei lavoratori e dei loro sindacati. A ogni livello per il lavoratore o per lo studente decide sempre qualcun altro. Un diciottenne questo lo ha introiettato, mette nel conto che i processi che tutto regolano sono da qualche altra parte. La sentenza di Firenze ha stabilito che però non si può fare qualunque cosa. Che ci sono dei limiti, delle forme. È un episodio piccolo che nell’immaginario è grande.
Dopodiché non basta certo una sentenza (anche perché – insistiamo – la guerra è lungi dall’essere vinta) per tornare ai tempi in cui la contrattazione era la contrattazione, finanche con le sue esagerazioni, e i lavoratori contavano, e contavano perché i sindacati erano realmente rappresentativi a partire dall’ultimo delegato di fabbrica; però il fatto nudo e crudo che gli operai possano aver ragione oggi appare una notizia sensazionale che può persino ridestare l’antico mito della resistenza operaia («durare un minuto in più del padrone» si diceva decenni fa nei picchetti davanti ai cancelli quando la fabbrica era il luogo per eccellenza del conflitto), premessa di una ripresa di miti e comportamenti della sinistra classica che ha sempre letto questi fatti sociali come anticipazione di processi politici.
E dunque ecco come in un film di Federico Fellini la possibile costruzione mentale di un immaginario ponte tra la vertenza alla Gkn e le elezioni amministrative con la annunciatissima (dai sondaggi) stravittoria del centrosinistra, e – se volete – con la imminente vittoria in Germania della Spd, partito padre del socialismo europeo: un refolo, non ancora un vento, che potrebbe rimettere al centro il tema dei diritti dei lavoratori e forse riproporre in modo serio la questione della partecipazione dei lavoratori nelle aziende, ma anche qualcosa di più: un cocktail in grado di rianimare un immaginario seppellito da anni di sovranismi, populismi e neofascismi che torna su come dopo un lungo sonno.