Dopo la Milano da bere degli anni Ottanta e la grande depressione del dopo Tangentopoli, Milano ha conosciuto il periodo dell’amministrazione di crescita senza sviluppo; c’è voluta la grande intuizione di Letizia Moratti che ha fortemente voluto l’Expo 2015 – che tanti hanno sottovalutato, se non contrastato – e la capacità manageriale e molto pragmatica di Giuseppe Sala per far tornare Milano a svilupparsi diventando una città quasi estranea alla mediocrità italiana. Una città che si sentiva ed era europea e non italiana, tanto da suscitare le antipatie del resto d’Italia.
Milano è sempre stata l’apripista delle novità, nel bene e nel male, ma mai come dopo l’Expo è sembrata allontanarsi da un contesto paludoso che avvolgeva il resto di Italia. Saprà esserlo anche oggi dopo la pandemia che ha travolto certezze e ci ha trascinato nel buio di una crisi non solo politica, ma economica, morale e culturale? È una domanda dalla cui risposta dipenderà la capacità stessa della nazione di accogliere le sfide del futuro.
Perché il futuro ci propone sfide globali, sul fronte economico, con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale, che non tutti sembrano aver compreso; sul fronte istituzionale, con un sistema democratico e una architettura istituzionale, disegnato su stilemi ottocenteschi che per la sua farraginosità allontana la gente e fa nascere le teorie complottistiche del governo mondiale dei “potenti”; sul fronte culturale, dove la cancel culture sta infettando il nostro sistema di valori.
Se vediamo la campagna elettorale in corso a Milano sembrerebbe proprio di no: la politica balbetta tra slogan, incontri fasulli, totale mancanza di idee, sguardo rivolto al passato, il centrodestra che si vuole maggioranza ha un vuoto programmatico e di classe dirigente imbarazzante; il centrosinistra si affida ai destini del sindaco uscente che per non aver noie ha frantumato la sua coalizione in una miriade di liste inutili; l’unica novità di rilievo è la capacità delle forze della sinistra liberale di presentarsi finalmente unite, rompendo la litigiosità dei leader.
Quali sono alcuni dei temi che mancano da questa campagna elettorale e che il Centro studi Morris Ghezzi propone alla riflessione della politica?
- Milano e il suo contesto: dopo la sciagurata legge di riforma delle province e la finta creazione della città metropolitana, nessuno ha saputo più indicare un modello di Grande Milano. Una città che schiaccia le altre cittadine che creano la ricchezza metropolitana? Modello banlieue di Parigi? O il rispetto della città policentrica che ha caratterizzato lo sviluppo degli anni passati ? come si sta programmando la viabilità? È possibile che un sindaco ci racconti la storia della Milano in 15 minuti sapendo che ogni giorno un milione di persone si muovono per raggiungere con ogni mezzo posti di lavoro, servizi sanitari, servizi culturali? Chi sta programmando lo sviluppo immobiliare? Le amministrazioni comunali o le grandi immobiliari? la rete trasportistica? La centralità della Milano dei bastioni è un errore strategico che non tiene conto che Milano è una città stratificata, come ci insegnava il sociologo Martinotti: c’è la città che lavora i cui confini passano ampiamente quelli della vecchia provincia, c’è una città che studia, una che si diverte, una che fa cultura. I confini amministrativi sono una finzione a cui non crede nessuno. Un abitante di Segrate o di Rozzano dirà sempre di essere milanese, e se a Milano i disastri parigini e londinesi non ci sono stati è perché Milano ha avuto una visione policentrica, ma ora sembra che la politica non abbia più l’idea di cosa vuole per il futuro, il rischio di una centralità che anneghi le realtà limitrofe in una periferia anonima che guarda alla Milano Manhattan è sempre più vicino. Gli investitori internazionali che guardano con interesse alla Milano futura hanno bisogno di una politica che guida lo sviluppo non che rimanga silente. Una città-regione con un sindaco eletto dai cittadini e sindaci zonali e cittadini può essere una soluzione? L’idea di Milano città-stato quali confini e quale cultura amministrativa contiene?
- Milano e il lavoro: le stime Ocse ci parlano di una rivoluzione del mondo del lavoro che oltre a cancellare milioni di posti di lavoro e crearne di nuovi completamente innovativi ci indica un saldo negativo di milioni di posti di lavoro. È probabile, se non sicuro, che le stime e le previsioni siano vecchie. La visione di Byung Chul Han sulla scorta di Foucault e quella di Harari sulla scorta delle ultime proiezioni sul futuro dell’intelligenza artificiale, ci indicano la necessità di immaginare (ecco un termine che manca ai nostri politici) una rivoluzione del lavoro. Riuscire a gestire questo cambiamento strutturale o farsene travolgere? Chi si pone questa domanda?
Milano deve essere in grado di guidare questo cambiamento coinvolgendo forze economiche, corpi intermedi, realtà amministrative, non con il finto ascolto e le kermesse accademiche. Lasciamo al ministro Brunetta l’idea che il lavoro sia timbrare il cartellino, ragioniamo sulla necessità che il lavoro sia sempre più smart, perché basato su obiettivi concreti e non sulle ore passati seduti, la tecnologia ci consente (e ci ha consentito) di riuscire a risolvere problemi senza uscire di casa, intasare i mezzi pubblici, le strade, spendere ore della nostra vita inutilmente.
Il problema vero che si pone con urgenza è rendere il lavoro non solo smart, ma creare le condizioni perché lo sia veramente.
Wifi, banda larga, 5G, luoghi di coworking, centri ludico-lavorativi, posizionati lunghe le strutture della città allargata, dove programmare linee di trasporto.
Lavoro smart non è necessariamente – anzi non lo è mai – telelavoro: non vogliamo desacralizzare la nostra casa? non abbiamo le strutture adatte? Perché non aiutare creando queste strutture che consentano la riduzione della mobilità, una socialità e una precisa tabella di obiettivi?
Il mondo della produzione ha bisogno di servizi smart, ma bisognerà pensare a livello globale, ridurre le ore umane di lavoro per aumentare le ore di lavoro dei “cervelli artificiali”, perché il tutto non si trasformi in un mondo di precari, disoccupati. La riduzione del lavoro umano non è e non deve essere aumento della povertà , ma aumento del tempo libero dedicato alla cultura, al leisure, all’intrattenimento, creando nuove aree di aggregazione e di business (altro che i panini al bar del piano Brunetta per far rinascere l’economia!).
Due tra tanti tempi che sono esiziali per il futuro, che la politica non affronta, se Milano su questi argomenti non lavora per trovare idee l’Italia tutta ne soffrirà, se si esclude qualche timida riflessione dei riformisti, unita alla loro capacità pragmatica di capire la necessità di coprire buche e pulire i parchi, la politica milanese è assente, il Centro studi Morris Ghezzi sfida la prossima amministrazione cittadina a confrontarsi su questi argomenti.
Alessandro Palumbo è presidente del Centro studi Morris L. Ghezzi