«Il risultato di oggi, in larga parte, è merito suo». Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, Pd, dice a Repubblica che la vittoria dei sindaci di centrosinistra nelle principali città italiane è soprattutto merito del segretario Enrico Letta.
«Il 60 a 40 di Roma non è isolato, c’è una tendenza di carattere generale che premia il centrosinistra da Varese a Cosenza», spiega. La sinistra ha vinto persino a Latina, «contro una destra che si era ricompattata nella sua roccaforte», fa notare Orlando. «È stata premiata la linea inclusiva, di alleanze larghe, promossa dal Pd. Ci è stato riconosciuto sia dove ha portato all’accordo con i Cinque Stelle, come a Bologna, sia dove non siamo riusciti a farlo ma abbiamo comunque dato l’idea di lavorare per l’unità».
La lettura del voto, secondo Orlando, è che «chi ha sostenuto il governo in maniera più leale è stato premiato, chi ha tenuto un piede dentro e uno fuori è stato punito. E questo risultato dovrebbe rafforzare il governo Draghi». Se Salvini «facesse un’analisi lucida di questi dati», in teoria dovrebbe quindi sposare la linea di Giorgetti. «Tuttavia so anche che le sconfitte raramente portano a una maggiore lucidità», ammette.
Una riflessione va fatta però sulle periferie alla luce del record di astensione, che ha penalizzato soprattutto i candidati del centrodestra. «Si è rotto un rapporto tra elettorato popolare, periferie e centrodestra», dice Orlando. «Che non significa, attenzione, ancora un passaggio al centrosinistra. Ma quel blocco che aveva premiato la destra populista si è incrinato, è un dato su cui dobbiamo investire».
Anche se, dice il ministro, il Pd ha «messo la testa fuori dalle Ztl, per loro c’è stato un crollo del consenso in quelle realtà più popolari. Non c’è stato ancora un trasferimento di quel voto che un tempo andava a sinistra. C’è tuttavia un’inversione di tendenza dopo decenni in cui quegli elettori guardavano più a destra o ai Cinque Stelle».
Orlando, come tutti nel Pd, ora ripete che «l’unità non è mai un cattivo investimento». Nuovo Ulivo quindi? «No, non si tratta semplicemente di tornare a quello che era il centrosinistra prima della crisi del bipolarismo. Si tratta invece di costruire qualcosa che tenga conto dell’esplosione del populismo, non si può far finta che sia stata semplicemente una parentesi. C’è qualcosa che si è rotto tra elettorato popolare e istituzioni che non si recupera rieditando esperienze del passato».
Il Pd, dice, «deve caratterizzarsi sempre di più come una forza che si fa carico del tema delle disuguaglianze. Se vogliamo recuperare una lacerazione che ha iniziato a prodursi una ventina d’anni fa dobbiamo perseverare su questa strada». E «dobbiamo farlo tutti insieme», anche con i Cinque Stelle. Ma «il Pd deve fare la sua parte cercando di dare un segno riformista a una battaglia che spesso è stata interpretata in maniera populista». Ora, «il punto di partenza è concentrarsi sui temi che la pandemia ha rimesso al centro dell’attenzione: sanità, scuola, casa, lavoro, salari, il Welfare…Dobbiamo elaborare anche una critica al nostro modello di sviluppo e al nostro assetto sociale».
Il Pd può recuperare un rapporto anche col centro riformista, dice Orlando: «Ci sono tutte le condizioni per farlo. Il centrosinistra se vuole vincere non può fare a meno di nessuno. La ricerca dell’inclusione deve essere massima, ma non si possono esercitare veti. Il populismo è stato messo alla prova del governo e indubbiamente ha avuto un’evoluzione. Credo che anche il “governismo” si dovrebbe mettere in relazione ai temi che hanno generato il populismo: non solo demonizzarlo ma interrogarsi sulle ragioni che lo hanno prodotto».
Orlando non esclude nemmeno un’alleanza con Forza Italia dopo le politiche: «C’è sicuramente spazio per un’interlocuzione, come avviene a Bruxelles, tra il centrosinistra e le forze che si riconoscono nel Ppe. Non so se in un’alleanza di governo, quanto piuttosto su un processo di riforme che prosegua l’esperienza del Next Generation Eu».