Questo disco, e forse tutta la carriera di Edoardo Bennato, nasce un pomeriggio di giugno del 1973, in Viale Mazzini a Roma, davanti alla Rai. Una sorta di ultima spiaggia, di o-la-va-o-la-spacca, di ultima puntata sul numero secco, il 55 della Smorfia. In mano una chitarra a dodici corde, sul petto un reggi-armonica/kazoo. Dietro il tacco destro, un tamburello a pedale.
Edoardo non è propriamente uno sconosciuto, né un pischello alle prime armi. Ha 27 anni, ha alle spalle una storia di emigrazione al Nord a cercar fortuna nell’industria discografica milanese, un lungo apprendistato a scrivere pezzi commerciali e anche un singolo in proprio per la Numero Uno di Battisti e Mogol, ma nulla ha funzionato.
Il produttore Sandro Colombini, però, con Mogol c’ha litigato e se ne è andato alla Ricordi, portandosi dietro quello scugnizzo laureato in architettura, innamorato del blues e del r’n’r anni ‘50 (da Muddy Waters a Paul Anka, e tutta la musica americana che sta in mezzo) che aspetta solo una vera chance.
Almeno una. Tanto che quel primo album ha in copertina una bustina di Minerva con un solo, ultimo, fiammifero, e così viene chiamato, nell’ambiente. L’ultimo fiammifero. Come spesso accade coi primi album, manca un po’ di focalizzazione, c’è un po’ di tutto: per dire, un r’n’r (acustico, ma sempre r’n’r) come Rinnegato, canzoni intinte nel folk-blues e anche una delicata canzone cantautorale a cui ha regalato le parole Patrizio Trampetti della NCCP, gruppo di antique/progressive folk napoletano nel quale milita anche il secondo dei Bennato, Eugenio, e il cui arrangiamento di archi è firmato dal maestro Roberto De Simone, grande filologo della musica popolare campana e ispiratore della stessa NCCP, Un Giorno Credi. Al primo giro, non c’ha creduto nessuno.
Edoardo è stato anche ospite a Per Voi Giovani Estate ’73, Raffele Cascone lo porta da Napoli insieme a tutta la scena partenopea e lo introduce con i 58” di armonica ritmica di “MM”, Metropolitana Milanese, non proprio la cosa più usuale. Dall’altra parte del tavolo, io guardo in silenzio con curiosità, perché uno così, sulla scena italiana dei cantautori in pieno boom, chi l’aveva mai visto?
Per essere sicuro dei dettagli, mentre ascolto il disco in un sabato pomeriggio settembrino ancora estivo, mando un messaggio WhatsApp: «Sto scrivendo di “Buoni e Cattivi”, ti posso fare qualche domanda? Tipo il famoso concerto da one man band davanti alla Rai?». «Sono in spiaggia», risponde dal Bagno 48 a Riccione, «parliamoci adesso».
Lasciamo parlare lui. Un racconto incomprensibile all’inizio, una sorta di orgogliosa rivendicazione di una jam con B. B. King della quale non sapevo, e poi – come tutte le cose di Edoardo Bennato – assolutamente logico e magistralmente raccontato. Pezzi di ogni singola canzone cantati-rappati compreso. Quindi stavolta una sorta intreccio articolo/monologo/intervista/ performance/ autorecensione. Una piece di teatro radiofonico che solo Bennato, questo è poco ma sicuro. Immaginatevi la sua voce, con gli aaah! e toni ironici inclusi. Play.
«Tu vuoi sapere l’episodio del concerto improvvisato…? Devo farti una premessa: io, tu, viviamo ai confini dell’impero anglo-americano, in generale tutto quello che viene prodotto in Italia viene visto come un sottoprodotto. Si guarda con sospetto, diffidenza, quello che viene fatto da noi, anch’io lo faccio. Tu conosci l’episodio di me BB King e Jeff Healy?».
No, io sapevo che avevi suonato con Bo Diddley…
«No, sto parlando di B. B. King… se vai su YouTube lo puoi trovare, a Pistoia Blues… starai pensando (autoironico) questo Edoardo sta sgangherato, con l’età sta diventando sempre più sconclusionato. Nel 1990 avevo fatto da poco la sigla dei Mondiali, a Pistoia blues c’era anche B. B. King, entrarono nel camerino di B. B. King, “potresti fare un jam con un cantante italiano?” “Edoardo Bennato? Who is this guy?”, non sapevano cosa rispondere, gli dicono “quello che ha fatto la sigla dei Mondiali”. Non deve esser un idiota, avrà pensato, se ha fatto la sigla dei Mondiali. Ok. Tu non l’avevi mai vista prima?».
No.
«Tutto questo ci serve da monito, perché adesso parliamo di “Buoni & Cattivi”: ma per inquadrare la situazione, quello che stiamo dicendo, argomentando, stiamo parlando di blues ma siamo due italioti, quindi tutto quello che noi facciamo, anche ammesso che io faccia delle cose forti, non fa parte della storia del rock, del blues. Jim Morrison, i Green Day ne fanno parte, tutto quello che è successo in Italia non ne fa parte. Per cui se io nel 1973 mi metto per strada e faccio dei pezzi punk anticipo i tempi, ma… “Ma che Bella Città” è un brano punk».
(canta): «Sul giornale c’è scritto ah ah ah ah
puoi fidarti di me
il peggiore di tutti ah ah ah ah ah
si è scoperto chi è
c’ha le ore contate…
ma che bella città…».
«I giornali italiani sbattono il mostro in prima pagina, nel 1973 come nel 2021. Sbatti il mostro in prima pagina, fai a pezzi l’avversario, designa il tuo nemico. L’ho detto in una certa maniera non (imitando Guccini, r moscia inclusa, esilarante) “chissà perchééé sui noostri gioornaaali c’è scritto qualcooosaaa” (risata mia). No!».
(e riparte a cantare):
«Per la strada c’è uno ah ah ah ah
si è scordato chi è
non l’aiuta nessuno ah ah ah ah
ma s’aiuta da sé
suona un disco che fa:
ma che bella città…»
Tu sei uno che può dissertare sul termine punk, che cos’è punk? È un atteggiamento, un modo di suonare, di cantare, è un modo ritmico e skizzo-fre-ni-co di cantare, un modo provocatorio nei confronti di una comunità che si proclama lucida sensibile acculturata e previdente e che invece è totalmente schizofrenica. Ma la considerazione che dovremmo fare è “come è possibile che nel ‘73 ci siano questi pezzi punk”?
«Abbiamo fatto una bella riuscita
a questo punto la mela è avariata
io me la vedo brutta ma, salviamo il salvabile…»
(pee pee imita il kazoo)…
«Per il momento sei tu quello che dà le carte
però per tutti c’è un’unica sorte, tutti sulla
stessa barca, salviamo il salvabile…»
«Oppure»:
«Arrivano i buoni, arrivano, arrivano,
finalmente hanno capito che
qualcosa qui non va…
Arrivano i buoni e dicono basta a tutte
le ingiustizie che fin’ora
hanno afflitto l’umanità…»
(Di nuovo peee peee imitando il kazoo)
«Arrivano i buoni, ed hanno le idee chiare
ed hanno già fatto un elenco
di tutti i cattivi da eliminar…
Ma chi l’avrebbe mai detto che erano
così tanti i cattivi da eliminar…».
«Punk. Oppure»:
(canta ancora)
«Finalmente sei arrivato,
sei arrivato su quel trono…
e tra inchini e ba-cia-mano
fai il discorso e non parli italiano…
Parli con l’accento della gente
dove tu sei nato…
Che tristezza, che abbandono
tra la gente dove tu sei nato…
Fa qualcosa, fa qualcosa
se sei uno buono…».
Lo sfottò a Leone, Presidente della Repubblica, napoletano. 1973. Punk.
«Quindi riflettiamo, come è possibile che questo imbecille di Bennato nel 1973 osi anticipare il punk che poi è arrivato anni dopo? Dall’Italia, stranamente, da questo posto di merda ai confini dell’Impero anglo-americano nel ‘73 arriva una cosa punk. Perché io fui costretto a fare una cosa punk? Perché dopo nove anni di gavetta il primo album non aveva sortito nessun effetto, la Ricordi mi aveva licenziato. Ma te l’immagini? Io faccio nove anni di gavetta, Milano Roma, Micocci la Maionchi, Battisti, apprendistato, giusto? Benissimo, poi faccio “Non Farti Cadere Le Braccia”(si ferma un attimo)…tutto questo è propedeutico a “Buoni E Cattivi”, non è che sto parlando a vanvera, non è che sto menando il can per l’aia (ride), arriva Roberto de Simone e facciamo un arrangiamento alla Paul Buckmaster, utilizziamo l’orchestra in modo ritmico, ci sono i testi (con tono aulico) Un Giorno Credi, Non Farti Cadere le Braccia, Rinnegato in cui già dichiaro che sono un rinnegato, è una dichiarazione di guerra: sono un rinnegato, non mi riconoscete più, non mi riconoscete più prima ancora di conoscermi? Il direttore della Ricordi Lucio Salvini mi ha detto papale papale: “Senti Bennato, queste canzoni saranno anche belle però, vedi, nel nostro mestiere non è bello quello che è oggettivamente bello, nel nostro mestiere è bello quello che viene promosso, ascoltato, e continuamente riproposto in radio. Noi non abbiamo nulla da rimproverarci, il disco è stato stampato è stato messo nei negozi, in Rai non va, nessuno sa che c’è, nessuno lo compra. Quindi levati dai piedi”».
«È per questo che io feci i pezzi punk, perché fortunatamente ero stato in Inghilterra e avevo visto le one man band che suonavano di fronte alle code che si formavano nelle piazze e quindi avevo il tamburello a pedale, mi ero costruito questo attrezzo che serve per suonare armonica e kazoo contemporaneamente alla chitarra, in rame, me lo costruì un fabbro nella ridente località di Lovere sul lago di Iseo, e quindi mi giocai questa ultima carta. Dopo 9 anni di gavetta mi avevano dato il benservito, la carriera era finita, basta, chiuso, avevo l’Università di riserva, ma…mi giocai l’ultima carta – per rispondere alla tua domanda iniziale – di fronte alla Rai, alle spalle il bar Vanni, c’è un marciapiede, il momento focale fu lì. Passarono dei giornalisti di Ciao 2001, che in quel momento era il vangelo: ragazzini, Manuel Insolera, Enzo Caffarelli, passarono di là e io facevo questi pezzi punk, Arrivano i Buoni, Salviamo Il Salvabile, Ma Che Bella Città, Affacciati Affacciati …cattivi. Punk».
Apro parentesi: Manuel Insolera, l’unico svalvolato nel gruppo di ragazzi (troppo) per bene di Ciao 2001, lo scriverà nella recensione qualche mese dopo: «Ci troviamo forse di fronte al primo musicista italiano autenticamente e genuinamente punk? Parrebbe proprio di sì».
Ora, come abbia fatto a scriverlo visto che la parola ai tempi in Italia era sconosciuta e anche negli Stati Uniti non aveva la connotazione che avrebbe avuto dopo il 1975 non lo so, ai tempi la rivista americana Creem intendeva con punk la musica basic e un po’ cruda del garage rock degli anni ’60, tipo la Sono un Ragazzo di Strada dei Corvi, cover degli Electric Prunes (qualcuno ricorda?).
La rivista Punk, fiancheggiatrice degli Stooges, Iggy Pop e New York Dolls, sarebbe nata solo nel 1975. Comunque lo scrisse, e così sia.
«Parlarono con il direttore di Ciao 2001 che a sua volta mi mandò a un Festival a Civitanova Marche, ridente località dell’Adriatico…».
C’ero.
«C’eri anche tu?».
Eh sì, la foto in Dear Mister Fantasy di spalle, rossa, è stata scattata lì.
«Quel giorno c’era Battiato, Claudio Rocchi, Lolli, c’era l’avanguardia, la novelle vague, ti ricordi?».
Sì e no…
«Non ti ricordi niente ma c’eri… te lo ricordo io: salii sul palco, feci quattro pezzi e quando scesi dal palco ebbi la percezione che l’intellighenzia che c’era mi avesse eletto come rappresentante dell’insoddisfazione giovanile in Italia, e a questo punto ebbi la patente che mi era stata negata dal mondo ufficiale, che giustamente non poteva dare la patente a uno come me, a un rinnegato, no?, uno che è contro tutto e tutti compreso sé stesso. E quindi feci tutti i festival estivi, Lotta Continua, Avanguardia Operaia. Mi accompagnava Raffele, ti ricordi chi è Raffaele?».
Certo che me lo ricordo. (Cascone)
«Raffaele diceva – questa mi è rimasta impressa – che questi qui che organizzano questi Festival erano figli di papà che giocavano a fare la rivoluzione. Comunque, alla fine dell’estate, ottobre o novembre, il direttore della Ricordi mi richiamò e mi disse “Caspita, Bennato, com’hai fatto? Cos’hai combinato? Sei diventato una leggenda!” e disse sì, a questo punto facciamo un 45 con Ma Che Bella Città e Salviamo il Salvabile. Tutto questo per dirti che è grazie a questo 45 (che è quello che recensisce Insolera) che nasce l’album “I Buoni e i Cattivi”, dove ci sono queste due, c’è “Un Giorni Credi” che siccome era stato schifato…In pratica il mio primo album è “I Buoni e i Cattivi”, “Non Farti Cadere Le Braccia” è stato preso in considerazione soltanto dopo».
Ma quest’ultima è davvero molto diversa, anche come testo. Non è uno sfottò, è un messaggio a se stessi. E musicalmente sta proprio da un’altra parte.
«Certo, perché il primo album è fatto con l’Orchestra, in un certo modo, “I Buoni e i Cattivi” è scarno, ruvido, tamburello, sfottò, forse è il primo album punk italiano. Anticipa quello che verrà».
Ci sta, ti seguo.
«Sì, ma non serve a niente. Perché tutto quello che scriviamo e facciamo in Italia non fa parte della musica rock. Se io nel 1980 faccio due album che escono insieme a distanza di 20 giorni tutto questo non viene messo nella storia della musica rock, capisci cosa voglio dire?».
Certo che se lo fa Springsteen…
«Se dopo 12 anni lo fa Bruce Springsteen allora vale, questo intendo dirti. Però, anche ammesso e non concesso che questo che ti sto dicendo abbia un senso, a maggior ragione se capita che io faccio il Pistoia con B.B. King e Jeff ma perché nascondere anche quello, visto che siamo nascosti a priori».
Ma io non lo sapevo…
«Mah, tu semplicemente non lo sapevi. Ma se non lo sai tu…Tu non traffichi in droga, in peperoni, no?».
No, non ancora…
«Traffichi in musica, no? È molto strano, lo special su B. B. King non l’ha fatto Antonio Mancuso di Velletri ma Carlo Massarini che ha un’investitura per fare questo, non solo tu conosci me dalla prima ora,… Se a NY si produce a uno special su B. B. King capisco, ma se lo si produce in Italia…il fatto che B. B. King si sia fidato, disponibile, l’anno successivo a un altro Festival in Sardegna, Rocce Rosse, abbiamo fatto un pezzo armonica e chitarra e alla fine lui in modo molto paterno mi ha detto “Man you can play the blues”. Tutto questo sarebbe stato divertente raccontarlo. Comunque, forget it».
«In copertina c’è un’immagine emblematica, schizofrenica, folle, punk: due carabinieri (Edo e Cascone) ammanettati fra di loro, un’immagine di una società schizofrenica in cui la legalità, l’ordine costituito, l’establishment è follia pura, almeno vista dalla mia ottica. Giustamente tu hai notato che al fianco di questi pezzi c’è un Un Giorno Credi che è meno punk, però quello che mi sta venendo incontro sulla spiaggia fra un po’ mi ferma e mi dice “Bennato io ho cominciato da ragazzino ascoltando le tue canzoni e, credimi, ogni mattina quando sento Un Giorno Credi mi serve. Ecco, se io non mi fossi messo per strada a fare i pezzi punk, questo qui Un Giorno Credi non l’avrebbe mai sentita, ti pare?».
“I Buoni e i Cattivi” è questo, un album che si permette di ironizzare sul Presidente, sul Papa (in realtà Affacciati Affacciati’ sarà sul successivo), sull’ordine costituito, e forse non è un caso che in questi giorni ci sia una trasmissione tv che si chiama così, che uno dei miei “allievi” – o almeno lui dice che ha cominciato a suonare perché è stato colpito da quando arrivai a Modena, dove faceva il dj – è partito da questi presupposti; ecco, Vasco Rossi non avrebbe fatto a distanza di 35 anni un album “Buoni O Cattivi”.
«La bandiera…è folle. E canta, velocissimo»:
«Bella la bandiera…
la più bella che ci sia
cara, la bandiera
la più bella che ci sia…
Ama, la tua bandiera
è la più bella che ci sia…
Ama, la tua bandiera
è la più cara che ci sia…
Senti, che emozione,
sventola la tua bandiera…
Senti, un tuffo al cuore,
sventola la tua bandiera…
Guarda, c’è una bandiera
chenonhaicoloridellatua…
guarda, lì c’è una bandiera
chenonhaicoloridellatua…
Guarda, quella gente
che non sventola la tua bandiera…
guarda, quella gente che ha una
bandiera conicoloridiversidallatua…
Odia, quella gente
che non sventola la tua bandiera…
odia, quella gente
che non sventola la tua bandiera…
Odia, tutta la gente
che non sventola la tua bandiera…
odia, tutta la gente
che ha una bandiera
conicoloridiversidallatua…».
Anch’io ho notato è quanto attuale è La Bandiera. L’estremismo, il campanilismo, le curve, i sovranisti, la gente che odia la gente che non sventola la sua bandiera. Gli anni ‘70 erano fatti di confronti duri, fasci e compagni, Guelfi e Ghibellini di ogni tipo. Siamo di nuovo dove eravamo negli anni ‘70. La politica, i social hanno creato gli stessi ambienti di confronti durissimi, di bandiere, di 45 anni fa. È un album di una attualità sconcertante, è un album che potresti fare adesso, anzi perché non lo fai live per intero che va tanto di moda? Musicalmente ti sei evoluto, hai costruito canzoni anche in altre maniere, ma a livello di testi…
(Riprende a cantare)
«Una di notte, c’è il coprifuoco
e pensare che all’inizio
sembrava quasi un gioco…
Ora non c’è più tempo per pensare
tutti dentro, chiusi ad aspettare…
Ognuno ha avuto le sue razioni
poveri e ricchi, cattivi e buoni
ognuno ha fatto le sue preghiere
ora si tratta solo di aspettare…
Per fronteggiare la situazione
c’è stato un programma alla televisione
hanno parlato tutti gli avvocati
di tutte le bandiere, di tutti i partiti…
Ed è stato proprio commovente, vedere
tutti quei grandi sacrificare le proprie
idee in nome del bene della gente…
poi hanno dato severe istruzioni
di stare calmi, di stare buoni…
Buoni… su! buoni ragazzi
ma non è il caso di agitarsi…
bravi… su! fate i bravi ragazzi
vedrete che poi sistemeremo tutto…».
«Bravi ragazzi è la colonna sonora di quello che succede adesso, ma stai pur certo che nessuno lo metterà come colonna sonora di quello che succede in televisione. Io sono comunque un rinnegato, perché sono un punk, e soprattutto in questo periodo da tenere a bada. La Torre di Babele, I Buoni e i Cattivi, Signor Censore, Mangiafuoco, è tutto attuale. L’altro giorno Bravi Ragazzi, Mangiafuoco l’ho fatto, ma sull’ultimo album, quello con tutti i titoli delle canzoni, ci sono due canzoni che si integrano, che potevano stare concettualmente in “I Buoni e i Cattivi”, così chiudiamo il cerchio. Ti mando i video». (sono Maskerate e Signore e Signori).
Rimangono Tira A Campare, la prima canzone di affetto malinconico «per la mia città», e In Fila Per Tre, che rimane l’archetipo dei suoi brani operistici, per definizione ‘rossiniani’. Quattro strofe di law and order, pura irreggimentazione: prima a scuola, poi al militare, e infine nel mondo del lavoro e della società civile, cantati con una serie di registri dal farsesco al falsetto operistico all’incazzato:
«Presto vieni qui, ma su non fare così
ma non li vedi quanti altri bambini
che sono tutti come te
che stanno in fila per tre
che sono bravi e che non piangono
mai!…
E’ il primo giorno però domani ti abituerai
e ti sembrerà una cosa normale
fare la fila per tre, risponder sempre di si
e comportarti da persona civile!…
Vi insegnerò la morale a recitar le preghiere
e ad amar la patria e la bandiera
noi siamo un popolo di eroi e di grandi inventori
e discendiamo dagli antichi romani…
E questa stufa che c’è basta appena per me
perciò smettetela di protestare
e non fate rumore, e quando arriva il direttore
tutti in piedi e battete le mani…
Sei già abbastanza grande
sei già abbastanza forte
ora farò di te un vero uomo
ti insegnerò a sparare, ti insegnerò l’onore
ti insegnerò ad ammazzare i cattivi…
e sempre in fila per tre, marciate tutti con me
e ricordatevi i libri di storia
noi siamo i buoni, perciò abbiamo sempre ragione
e andiamo dritti verso la gloria…
Ora sei un uomo e devi cooperare
mettiti in fila senza protestare
e sei fai il bravo ti faremo avere
un posto fisso e la promozione…
E poi ricordati che devi conservare
l’integrità del nucleo familiare
firma il contratto, non farti pregare
se vuoi far parte delle persone serie…
Ora che sei padrone delle tue azioni
ora che sai prendere le decisione
ora che sei in grado di fare le tue scelte
ed hai davanti a te tutte le strade aperte…
Prendi la strada giusta e non sgarrare
se no poi te ne facciamo pentire
mettiti in fila e non ti allarmare
perchè ognuno avrà la sua giusta razione…
A qualche cosa devi pur rinunciare
in cambio di tutta la libertà che ti abbiamo fatto avere
perciò adesso non recriminare
mettiti in fila e torna a lavorare…
e se proprio non trovi niente da fare
non fare la vittima se ti devi sacrificare
perchè in nome del progresso della nazione
in fondo, in fondo puoi sempre emigrare…».
Ancora attualità strettissima. Ma da dove viene l’amore per Rossini?
«Verdi, Puccini, Doninzetti, dopo un po’ mi viene il magone. Rossini è modernissimo, è rock». (E canta Il Barbiere di Siviglia, alla Bennato). «L’ho scoperto ai tempi di quegli album, oltre a Muddy Waters e John Lee Hooker (ridacchiando) frequentavo Rossini».
Questo quindi, 47 anni dopo, è il senso de “I Buoni e i Cattivi”, un concept ispirato da un libro di Italo Calvino, “Il Visconte Dimezzato”, romanzo fantastico ambientato nel ‘600 nel quale il Visconte Medardo di Terralba viene tagliato in due da una cannonata: una parte buona e una parte cattiva, che alla fine dopo strenuo duello per la bella Pamela vengono ricomposte in un uomo che non è né buono, né cattivo. Dipende. Metafora che chiarisce tutto, perché tutto può essere capovolto, e nel mondo di Bennato lo è.
A partire dalla copertina, per finire ai buoni che arrivano a eliminare i cattivi che erano i buoni al giro precedente. «Here’s the new boss, same as the old boss», cantavano gli Who.
Edoardo poi scriverà cose più strutturate, più melodiche, testi più poetici e non solo di invettiva. Molte di queste canzoni non le suona più da anni, ma rimangono delle intuizioni geniali. Colgono con realtà ficcante, puntuta, tante delle nostre verità, o meglio, delle nostre falsità.
Intanto, ci fan capire che il tempo in Italia non sembra passare mai. Queste le scriveva negli anni ‘70, tempi cifrati, in cui le verità facevano fatica a venir fuori, il Sifar e gli Affari di Stato, i fasci e i comunisti, anni in cui schierarsi era d’obbligo per cercare appartenenza. Edo non si è mai schierato, indicava il problema, non la soluzione, fosse da una parte o dall’altra. Ma coglieva le ambiguità, le sottolineava, le metteva alla berlina, rendeva fragile nella sua rigidità, ridicola nella sua sacralità, tutta una maniera di essere.
È tutto cambiato, ma certe cose non cambiano mai. Come a dire, l’ambiguità è in ognuno, non scordiamolo mai. È la natura umana, suppongo.
Ho amato molto Edoardo per questa capacità di raccontare l’Italia in una maniera in cui nessun altro la raccontava: sbeffeggiando, un po’ nascondendosi come i bravi giullari dietro lo sberleffo, ma pungendo davvero, col tono della commedia in salsa – vuoi mettere? – di rock’n’roll, o punk che sia.
Ci sono stati tanti cantautori, anche grandi, ma Bennato era fuori dagli schemi, un unicum, e non solo italiano fra l’altro. Un rinnegato, probabilmente, uno che apparteneva solo a sé stesso. Come ho scritto su Dear Mister Fantasy, una scheggia conficcata nel culo del potere.