Remare nel NaviglioCome sta la Società Canottieri Milano a 130 anni dalla sua nascita

Nel 1891 l’associazione fondata Guido Alessandro Bonnet iniziava le sue attività, diventando una leggenda dello sport milanese e italiano. Oggi, dopo le complicazioni della pandemia, la società pensa in grande e si gode i suoi campioni, ci ha detto il presidente Stefano Spremberg

Mourad Balti Touati/Lapresse

Sono passati 130 anni da quando Guido Alessandro Bonnet inaugurò la Società Canottieri Milano, fondata formalmente come associazione nell’ottobre dell’anno precedente. L’idea era quella di trasformare un pezzetto di Naviglio in un luogo di attività sportiva, e così era nato il cosiddetto “laghett”, una piccola piscina costruita con materiali poveri, dove i milanesi avrebbero potuto fare il bagno proprio nell’acqua del canale.

Durante l’estate appena finita era stato un successo. A quel tempo i Navigli non avevano proprio nulla della vitalità urbana di oggi ed erano piuttosto un luogo dove regnava la natura, appena fuori porta. L’idea della piccola piscina era stata formidabile, tanto che in quell’anno, il 1891, Bonnet e gli altri soci si misero attorno a un tavolo con l’intenzione comune di fare qualcosa di più: una vera società sportiva.

Centotrent’anni dopo – quasi un secolo e mezzo di vita milanese, di ruolo sociale, di successi sportivi clamorosi – il sogno, il progetto gira ancora intorno all’idea di una piscina. «Ne abbiamo una olimpionica, che adattiamo a tutte le stagioni, ma vorremo averne due distinte, una al chiuso e una scoperta». Ce lo confida Stefano Spremberg, presidente della Canottieri, con un legame con la società che ha segnato tutta la sua vita, fin da adolescente. Dalle remate in darsena di un quindicenne è passato a quattro titoli mondiali di canottaggio. «La Canottieri è Milano. È cresciuta con la città, riempiendo i vuoti di migliaia di giovani che spesso l’hanno ripagata con risultati sportivi prestigiosissimi».

Parlare della Canottieri Milano, è, a maggior ragione oggi, parlare della città. Ne ha condiviso in modo drammatico la stasi della relazioni della vita quotidiana prodotta dalla pandemia, con la sospensione di tutto lo sport dilettantistico. «È stato un periodo tremendo», ammette Spremberg, «da luogo frequentato quotidianamente da persone che si ritrovano attorno alle loro passioni, siamo diventati posto dove solo qualche agonista riusciva a condurre rari allenamenti. In pochi mesi abbiamo perso metà degli iscritti. Oggi li abbiamo recuperati tutti, e questo è segno di quanto la città abbia un legame diretto e indissolubile con noi».

Non sarebbe così, se si trattasse solo di attività sportiva. Da quell’estate in cui i primi milanesi poterono nuotare nella prima vasca con l’acqua del Naviglio si è costruita una specie di cultura civica, che ha generato anzitutto la partecipazione di tanti giovani. «Una volta, per avere l’occasione di frequentare un caro amico, mi iscrissi a una palestra, una della tante che ci sono in città», rivela il presidente. «Mi colpì l’esibizionismo, che andava dagli atteggiamenti all’abbigliamento. Ecco, alla Canottieri arrivano ragazzini con la maglietta sdrucita e i pantaloncini ereditati dal fratello maggiore. Ma poi vivono lo sport con una intensità incredibile che spesso li porta a eccellere».

Solo la storia “olimpica” della Canottieri copre un secolo esatto, dal campione di canottaggio Pietro Annoni ai giochi di Anversa del 1920, fino a Tokyo 2020, con Elena Bertocchi classificatasi settima nei tuffi sincronizzati.

Di mezzo, è bene ricordarlo, ci sono anche pallacanestro e lotta greco-romana, perché la Canottieri non è “casa” solo degli sport d’acqua.

Una storia affascinante da ripercorrere, attraente da far propria, specie visto che oggi ogni nuova iniziativa attira l’attenzione di tecnici di fama: «Appena abbiamo detto che avremmo voluto costruire una squadra di canoa, si sono fatti vivi i migliori allenatori del mondo. E lo stesso sta accadendo ora che abbiamo espresso l’intenzione di portare in Canottieri anche il triahlon».

Sembrano lontani i tempi del “laghett”: ma in fondo, sulla riva del Naviglio, continua a vivere la stessa passione di allora.