Il povero elettore di centrodestra ogni tanto vorrebbe vincere qualcosa, essere primo non solo nei sondaggi ma anche nei cento metri che portano al governo delle cose, e invece no, anche stavolta gli è andata buca, ed è più triste del solito: la narrazione dei suoi leader sul complotto dei media, dei provocatori di piazza, forse dei servizi segreti, non convince più tanto. Una volta le Sardine, un’altra il Papeete, poi Forza Nuova e il Barone Nero, poi la Cgil, non è che può sempre essere colpa delle forze occulte o l’esito di un astuto complotto nemico.
Il povero elettore di centrodestra vorrebbe sapere, innanzitutto, perché hanno candidato Enrico Michetti, uno che non è riuscito a riportare alle urne per i ballottaggi manco i santuari elettorali di Roma Nord e che tutti hanno votato turandosi il naso, vergognandosi di farlo. Poi, perché mezza campagna elettorale è stata giocata sull’ostilità al Green Pass che per la destra italiana, nata sul law and order, è stato un rovesciamento dei fondamentali. Infine perché invece di chiedere voti in nome di un programma per Roma, Latina, Varese, Cosenza, lo si è fatto in nome di una futura leadership di Giorgia Meloni o di Matteo Salvini, insomma in nome di una sfida interna di appeal pari a zero per chi non è organico a un partito.
L’orribile distacco dei perdenti nelle due principali città giudicate contendibili – 20 punti a Roma, altrettanti a Torino – svela l’infondatezza di ogni ambizione della vigilia e induce il povero elettore a ragionamenti amari. Quando perdi così, con questi numeri, senza nemmeno un assaggio di testa a testa, significa che i capi ti hanno imbrogliato, ti hanno presentato un brocco come se fosse un campione, e una squadra di brocchi come se fosse un dream team, e una scontata Caporetto come una sfida aperta. Lo si fa sempre in campagna elettorale, ma stavolta l’eccesso di distanza e l’uniformità del risultato a ogni latitudine trasforma il vecchio trucco retorico della “vittoria quasi certa” in qualcosa di simile a un inganno: persino a Trieste, l’unica sindacatura conservata, la sinistra ha sfiorato il successo recuperando 17 punti in due settimane.
Il centrodestra dovrebbe stare attento ai sentimenti del povero elettore di centrodestra, che da anni strapazza ritenendolo tutt’al più capace di transitare da una sigla all’altra dello stesso recinto, comunque fedele alla super-ditta di riferimento. Il povero elettore di centrodestra è paziente e meno attrezzato dei colleghi di sinistra all’analisi del voto. Forse è anche più credulone del suo omologo di sinistra, che quando perde si spacca la testa sull’analisi dei flussi del Cattaneo, somma e sottrae percentuali, litiga coi compagni: lui si accontenta di condividere le spiegazioni televisive dei capi, quasi sempre rifritture del vecchio “mancò la fortuna, non il valore” (nella odierna fattispecie: colpa dell’astensionismo, colpa delle inchieste a orologeria, colpa del ritardo nelle candidature).
Ma stavolta potrebbe essere diverso. Stavolta sta avvicinandosi anche a destra il momento morettiano in cui qualcuno, guardando i risultati in tv, uscendo da una piazza, commentando i risultati in una cena, darà voce al pensiero collettivo e griderà: CON QUESTI DIRIGENTI NON VINCEREMO MAI. Poi, sarà difficile rimettere le cose al loro posto.