Duello tra CortiLa crisi tra Polonia e Unione Europea riapre il dibattito sul sovranismo

Lo scontro tra la Corte Costituzionale polacca e la Commissione è il risultato di una questione mai sciolta: fallito nel 2005 lo Stato federale dell’Europa, resta aperto il tema del rapporto tra l’esercizio della sovranità popolare attraverso istituzioni sovranazionali

LaPresse

La crisi aperta dalla Polonia con l’Unione Europea è difficilmente componibile, perché riguarda un principio fondamentale che solo apparentemente è del sovranismo: la preminenza delle istituzioni formate direttamente dalla sovranità popolare, rivendicata dalla Corte Costituzionale della Polonia su quelle, come la Corte di Giustizia Europea, formate con una delega in terza, quarta battuta della stessa sovranità popolare.

La Corte Costituzionale polacca ha infatti stabilito la propria priorità e sovranità sulle decisioni della Corte di Giustizia Europea la cui formazione sovranità e legittimità è mediata più volte dai governi Europei firmatari del Trattato di Lisbona del 2009. Non solo, la Corte di Giustizia Europea applica un Diritto Comunitario Europeo non stabilito dal Parlamento Europeo, eletto direttamente dalla sovranità popolare, ma elaborato nel 2007 da una Convenzione giuridica composta da membri dei governi europei, dei parlamenti europei, del parlamento europeo e da un membro della Commissione. Dunque di delega in delega.

Il tema del contendere tra la Commissione e la Polonia, il rilievo assoluto o secondario dell’esercizio diretto della sovranità da parte di ogni popolo europeo, è dunque di capitale importanza. Questo, soprattutto perché il contenzioso oggi deriva direttamente dal fallimento nel 2005 della definizione di una Costituzione Europea, quindi il fallimento definitivo della fondazione di uno Stato Federale e di governo politico unitario del vecchio continente. E su questo terreno, quando si è verificato che non si può fondare uno Stato europeo, la cessione della sovranità nazionale all’Unione Europea, pur accettata dai parlamenti o da referendum si è rivelata scabrosa, come non poteva non essere.

Se non vi è uno Stato Europeo, se il Parlamento Europeo, eletto dai cittadini, non può legiferare, ma solo ha il potere di svolgere funzioni di controllo e di rivolgersi alla Commissione per chiedere che legiferi, se il potere giudiziario sugli Stati è nelle mani della Corte di Giustizia Europea e quello sanzionatorio è nelle mani della Commissione e del Consiglio, eletti dalla sovranità popolare in seconda, terza battuta, non esiste l’indispensabile rapporto diretto, non mediato, tra sovranità popolare, i suoi rappresentanti direttamente eletti, e la formazione e approvazione della norma di diritto e quindi l’esercizio della giustizia e l’applicazione delle sanzioni.

È questo effettivamente uno stravolgimento del processo democratico di formazione della norma: una delega in terza, quarta battuta della sovranità popolare che copre il fallimento dell’Europa federale.

Questo è infatti il punto centrale della posizione difesa dal premier polacco Mateus Morawiecki davanti al Parlamento europeo. Dopo avere assicurato che il popolo polacco e il proprio governo non hanno nessuna volontà o intenzione di uscire dall’Unione Europea, dopo avere ricordato il ruolo di Solidarnosc nella fine del Patto di Varsavia e – con chiara e voluta sfida – che la Polonia ha combattuto il Terzo Reich, Morawiecki ha affermato: «Il diritto della Unione non può essere al di sopra delle Costituzioni nazionali, non può violarle. L’Unione Europea non è uno Stato, lo sono invece i 27 paesi membri che rimangono sovrani. Sono gli Stati membri che decidono quali competenze vengono trasferite all’Unione Europea. Bisogna dire basta! Le competenze dell’Unione hanno dei limiti, non possiamo continuare a tacere nel momento in cui vengono oltrepassati questi limiti. Per questo diciamo sì all’universalismo e no al centralismo dell’Europa!»

La durissima replica a Morawiecki di Ursula von Der Leyen di fatto ha confermato la debolezza intrinseca della sua posizione. Glaciale, ha sostenuto la necessità che le nazioni firmatarie del Trattato di Lisbona ne rispettino i contenuti e i termini, così come che la Unione Europea applichi le sanzioni previste per chi li viola.

Ha confermato cioè che la Polonia in questo caso non accetta non solo una istituzione, la Corte di Giustizia, istituita da uno Stato Europeo espressione diretta della sovranità popolare, Stato che non esiste e che lei non rappresenta, ma che la Polonia rifiuta quanto stabilito da un Trattato, che è ben altra cosa, che ha ben altra legittimità sostanziale.

Peraltro, von Der Leyen è ben cosciente che la strada delle eventuali sanzioni contro la Polonia è irta di difficoltà, perché devono essere approvate all’unanimità sia dalla Commissione che dal Consiglio d’Europa, là dove le nazioni del patto di Visegrad in gran parte le negheranno.

Dunque, qualunque sia l’esito di questa crisi, resta il punto: fallito nel 2005 definitivamente lo Stato federale dell’Europa, il tema del rapporto tra l’esercizio della diretta sovranità popolare e la cessione della sovranità degli Stati è ancora drammaticamente aperto in Europa. 

Questo è oggi il vero, serio, interessante dibattito sul sovranismo, non la caricatura che troppo spesso ne viene fatta dalla sinistra.

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