Se fosse stato un incontro di boxe, probabilmente sarebbe stato deciso ai punti. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il Primo ministro polacco Mateusz Morawiecki si sono salutati cordialmente e poi hanno picchiato duro nel dibattito al Parlamento europeo di Strasburgo che li ha visti dare due opposte interpretazioni di quanto sta accadendo in Polonia, dove una recente sentenza del Tribunale costituzionale ha sancito l’incompatibilità della costituzione con i trattati comunitari.
Il dibattito si intitolava «Crisi dello Stato di diritto in Polonia e primato del diritto dell’Ue», giusto per ribadire chi giocava in casa. Von der Leyen ha provato a prendere in contropiede l’avversario, cominciando il suo discorso con la legge marziale imposta nel 1981 in Polonia durante il regime comunista. Con il riferimento alla lotta del sindacato cattolico Solidarność, e quello successivo al suo fondatore Lech Wałęsa, la presidente ha imbracciato un’arma retorica di solito adoperata proprio dal governo di Varsavia. Tra le conquiste desiderate dai polacchi sotto il giogo dell’Unione sovietica, ha sottolineato von der Leyen, c’era anche il diritto a una giustizia indipendente, oggi a rischio a causa della decisione del Tribunale.
«Questa sentenza mette in dubbio i valori fondanti dell’Unione europea, è una sfida diretta all’unità dell’ordine legale europeo», le parole della presidente, che poi ha ribadito la volontà di tutelare i cittadini polacchi garantendo loro gli stessi diritti di tutti gli altri europei. «Lo Stato di diritto è la colla che tiene insieme l’Unione. […] È essenziale per la protezione dei valori su cui è fondata: libertà, democrazia, uguaglianza e rispetto dei diritti umani».
La parte più attesa del suo intervento riguardava però la risposta della Commissione a uno scenario senza precedenti nella storia dell’Ue. La prima opzione sul tavolo sono le procedure di infrazione, che probabilmente scatteranno non appena l’ufficio legale dell’esecutivo comunitario avrà analizzato nel dettaglio il dispositivo della sentenza. Poi c’è il meccanismo che vincola i fondi comunitari al rispetto dello Stato di diritto: «Il governo polacco deve spiegarci ora come intende proteggere i soldi dei contribuenti europei».
Crescono infatti le possibilità che la Commissione attivi la procedura, dopo aver temporeggiato a lungo, irritando così il Parlamento europeo. Ironia della sorte, il meccanismo è in stand-by proprio per una causa di Ungheria e Polonia a quella Corte di Giustizia dell’Ue di cui Varsavia non accetta l’autorità completa.
Fino a qui nulla di nuovo: è mancato anzi nel discorso di von der Leyen qualsiasi accenno al Piano nazionale di ripresa e resilienza polacco, presentato a inizio maggio e ancora oggetto di analisi da parte dei commissari. La novità è invece l’accenno all’articolo 7, «il potente strumento concesso dai trattati europei», come da definizione data di fronte agli eurodeputati. La relativa procedura è stata aperta nel 2017 proprio per segnalare l’illegittimità del Tribunale costituzionale polacco e se portata a termine può togliere temporaneamente al Paese il diritto di voto nel Consiglio. «Sarebbe un modo di chiudere il cerchio», ha attaccato la presidente, ma in questo caso la sua iniziativa non basta: per concludere la procedura serve, oltre all’approvazione del Parlamento europeo, il voto all’unanimità degli altri 26 governi, una condizione difficile da ottenere.
Probabilmente nemmeno la Commissione spera di dover arrivare a tanto e preferirebbe piuttosto un passo indietro del governo polacco sulla riforma della giustizia che ha innescato il lungo conflitto. Un’apertura in questo senso emerge da una lettera inviata dal primo ministro Morawiecki agli altri capi di governo dell’Unione in vista del prossimo Consiglio europeo e dal suo atteggiamento ambivalente nel dibattito all’Eurocamera.
Da un lato, il Primo ministro ha ribadito la ferma volontà di mantenere la Polonia nell’Unione europea, desiderio condiviso dalla maggior parte dei propri cittadini, sottolineando come il suo Paese rimane ancorato ai trattati e la sentenza è probabilmente vittima di un equivoco interpretativo.
Dall’altro ha rimarcato una differenza nel trattamento riservato ai «vecchi» membri dell’Ue, cioè gli Stati dell’Europa occidentale, e ai «nuovi», quelli dell’Europa centro-orientale. Soprattutto, si è difeso attaccando: «È inaccettabile parlare di sanzioni finanziarie. […] Respingo il linguaggio delle minacce e non permetterò che i politici dell’Ue ricattino la Polonia».
Sforando ampiamente il tempo a sua disposizione per l’intervento (il vice-presidente del Parlamento Pedro Silva Pereira ha provato a farglielo notare, ma senza successo), Morawiecki ha passato in rassegna tutto l’arsenale delle recenti argomentazioni governative: la costituzione rimane la fonte primaria della legge di un Paese, l’azione dell’Unione deve attenersi agli ambiti prescritti e quanto accaduto in Polonia è simile alle sentenze dei tribunali costituzionali di altri Paesi, come Francia, Germania e Danimarca.
Anche in questo caso non è mancato un richiamo alla storia, con la Polonia dipinta come baluardo della democrazia per la sua resistenza ai totalitarismi comunista e nazista. L’affondo del leader polacco ha toccato poi una profonda, forse inconciliabile, differenza di visione tra il suo governo e le istituzioni dell’Ue. Infrangere la costituzione polacca per obbedire ai dettami comunitari significherebbe per Morawiecki «che l’Unione europea cessa di essere una libera associazione di Stati sovrani, per convertirsi in un’entità governativa dove le istituzioni europee possono forzare le province a obbedire al potere centrale».
Poi le proposte concrete: dialogo, rispetto per le differenze fra i 27 Paesi e una specifica raccomandazione di includere nella Corte di Giustizia europea una sezione composta dai giudici costituzionali dei Paesi membri.
La requisitoria di Morawiecki ha scaldato i cuori soltanto dell’ala destra dell’emiciclo: i rappresentanti di Ecr (conservatori e riformisti europei, a cui appartiene il suo partito, Diritto e Giustizia) e Id (Identità e Democrazia) si sono prodotti in una difesa d’ufficio del comportamento polacco. Raffaele Fitto di Fratelli d’Italia ha denunciato «totale mancanza di equità nel giudizio», per non voler comparare la sentenza del Tribunale polacco a quella delle altre Corti costituzionali, accusando il resto dei colleghi di istruire un «dibattito politico»: «C’è un tentativo da parte delle istituzioni europee di voler cambiare corso a un governo legittimamente eletto in Polonia, con gravissime ingerenze».
Più dura ancora è stata l’analisi dell’altro presidente del gruppo Ecr, Ryszard Antoni Legutko, membro anch’egli di Diritto e Giustizia. «Il Parlamento europeo è riuscito a stabilire una tirannia della maggioranza e ha iniziato una Guerra fredda per destabilizzare i governi conservatori in Europa». Ce n’è anche per la Commissione, che dai tempi di Jean-Claude Juncker si sarebbe trasformata in «un’istituzione politicizzata, fortemente di parte, ideologica e arrogante».
Dalle altre famiglie politiche, invece, sono arrivati messaggi di sostegno a von der Leyen e pesanti critiche all’esecutivo polacco. I leader dei due gruppi più numerosi, Manfred Weber del Partito popolare europeo e Iratxe García Pérez dei Socialisti e Democratici hanno entrambi sottolineato come le regole comunitarie siano state tutte accettate dalla Polonia al momento del suo ingresso nell’Unione, nel 2004 e quindi vadano ora rispettate.
Il liberale belga Guy Verhofstadt, con la consueta mimica teatrale, ha riassunto il comportamento del governo di Morawiecki: «Il vostro gioco è chiaro: avete politicizzato il Tribunale costituzionale e quando questo è stato criticato dalla Corte di Giustizia europea, una decisione del vostro Tribunale politicizzato ha stabilito che la Corte non aveva autorità in materia».
Il socialista spagnolo Juan Fernando López Aguilar, presidente della commissione Libertà e Diritti Civili del Parlamento europeo, ha bollato come «ridicola» la narrativa di Varsavia e chiesto con forza alla Commissione di agire, come prescrive del resto la risoluzione frutto del dibattito, che sarà con ogni probabilità approvata dall’Eurocamera.
Terry Reintke dei Verdi, deputata tedesca attiva sulle questioni polacche, ha parlato direttamente ai cittadini del Paese, ricordando la loro gioia nel giorno dell’adesione all’Ue e ipotizzando un brindisi di Morawiecki con Vladimir Putin, visto che la sua visione della Polonia assomiglia sempre di più alla Russia.
Il primo ministro polacco è sembrato spesso accigliato durante queste accuse, ha poi reagito in modo composto nel round finale di interventi, ma senza ulteriori spiegazioni ha annullato la conferenza stampa inizialmente prevista al termine del dibattito. Giovedì 21 ottobre incontrerà i suoi omologhi nel Consiglio europeo. Angela Merkel ed Emmanuel Macron sembrano intenzionati a raffreddare il confronto, c’è pure una fazione di capi di governo intransigenti con la Polonia, capeggiata dall’olandese Mark Rutte. Il tour europeo di Morawiecki non è certo un viaggio di piacere.