Parlarne fra amiciFare di Milano una «città-laboratorio» della cultura si può, dice il neo assessore Sacchi

In conversazione con la vulcanica direttrice del Teatro Parenti Andrée Ruth Shammah, il nuovo ingresso nella giunta di Beppe Sala ha discusso di sinergie tra pubblico e privato, rilancio delle iniziative nei quartieri e un assessorato senza mire di “direzione artistica”

Francesco Malcangio/Teatro Franco Parenti

«Io non voglio che lui sappia cosa rispondere alle domande, perché se lo sapesse vorrebbe dire che ha già fatto! Invece no, non deve avere idea di qual è la risposta». Andrée Ruth Shammah non è soltanto una leggenda del teatro italiano e internazionale, ma anche una donna che dimostra un entusiasmo fuori dal comune: nella tavola rotonda con giornalisti e addetti ai lavori organizzata dal suo Teatro Franco Parenti negli spazi antistanti l’inedita versione ottobrina e quindi deserta delle piscine dei Bagni Misteriosi («due chiacchiere fra amici», anzi, come le definisce lei, aggiungendo marziale: «Vietato stare lì a scribacchiare») parla di futuro della cultura, dell’importanza del disordine e di cosa significa fare teatro a Milano nel 2021.

Con lei c’è Tommaso Sacchi, nuovo assessore alla Cultura della giunta di Beppe Sala, e fresco di 7 anni di successi alla guida dello stesso assessorato a Firenze. Nella sala l’atmosfera è conviviale, ma si parla di cose importanti, e soprattutto non rimandabili: «Dire che c’è stata una ripartenza dei teatri dopo il Covid per noi non ha senso, dato che non ci siamo mai fermati», spiega Shammah, arringando il pubblico al centro della sala. Ha un’idea centrale: fare teatro, dice, è far germogliare cose nuove. «Altrimenti non ha senso», spiega.

C’è bisogno di un’amministrazione capace di dialogare e dare il giusto supporto agli esperimenti che funzionano, ma soprattutto di farne nascere altri, nell’ottica di un «fare rete» che sia anzitutto motore di una riscossa culturale.

Alla sua prima uscita “ufficiale” da capo della cultura cittadina, Sacchi si è rammaricato di aver avuto poco tempo per studiare i vari dossier finiti sulla sua scrivania, ma ha delineato le linee guida che serviranno a tracciare la direzione del suo assessorato. Anzitutto, rispondendo in parte a una dicotomia – quella tra «assessore-direttore artistico» e «assessore-politico» – discussa dal suo predecessore Filippo Del Corno (ora responsabile cultura del Pd), Sacchi ha spiegato: «Non voglio fare il direttore artistico, ma non è questo il punto: l’opportunità del mio ruolo di amministratore è quella di riuscire a rilanciare le realtà culturali cittadine».

Francesco Malcangio/Teatro Franco Parenti

Si è parlato anche di convenzioni teatrali (che vanno modificate per spezzare le rendite di posizione: come, si vedrà) e commistioni fra pubblico e privato. Dal parterre è arrivata una domanda per l’amministratore: non considera «un’anomalia» il ruolo “pubblico” assunto in città dal Parenti, che è privato? Sacchi risponde «assolutamente no, anzi: è la dimostrazione che si può fare di Milano una città-laboratorio da cui emergono esperienze». La ricetta passa inesorabilmente per «rendere agili i processi» della cultura, ma anche sul premiare realtà, come il Parenti, capace di tessere relazioni e co-produrre spettacoli che poi viaggiano per il mondo.

Alla base di tutto, ovviamente, ci vuole la voglia di fare. E prima ancora, secondo Andrée Ruth Shammah, bisogna avere a che fare con «l’inaspettato», perché «è da ciò che non ci aspettiamo che vengono fuori le cose migliori». È una massima del teatro che si può tranquillamente estendere alla vita intera.

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