Autogol croniciCosa manca alla destra per contare nella prossima elezione del presidente della Repubblica

Principalmente coraggio, perché lo ritiene un gioco non suo. Finché nessuno dei tre soci della coalizione se la sentirà di uscire dallo schema «votiamo Berlusconi e poi si vede», le speranze di avere un peso nel gioco per il Quirinale sono minime

LaPresse

La destra non ha mai toccato palla nell’elezione del Presidente della Repubblica tranne che una volta, nel 1971, quando al ventiduesimo scrutinio un pezzo di Msi passò sottobanco i suoi voti a Giovanni Leone, capofila dei conservatori democristiani. Fu il Presidente meno votato della nostra storia, 518 voti appena, il 51,4 per cento, dopo la serie di scrutini più lunga in assoluto, e pure l’unico obbligato alle dimissioni con due anni di anticipo sul fine mandato. Questo per dire che la destra non è mai stata a suo agio nella partita quirinalizia, è un Great Game che non sente suo, non riesce a toccar palla e spesso neanche ci prova. 

Al Centrodestra non è andata meglio. Nei suoi 26 anni di vita ha visto entrare e uscire quattro Presidenti ma persino quando, nel 1999, trovò l’accordo bipartisan sul nome di Carlo Azeglio Ciampi, non riuscì a tenere allineate le truppe. La Lega preferì scrivere sulla scheda il nome del suo capogruppo al Senato e un sacco di altri voti se ne andarono in giro con scelte fantasia: Silvio Berlusconi, ovviamente, ma anche Giuliano Amato, Massimo Moratti, Carlo Rossella, Pino Rauti, Roberto Maroni. Tra i 180 voti che mancarono a Ciampi rispetto all’accordo politico preso ufficialmente, più della metà era targato Centrodestra.

Per il resto, è storia nota. Oscar Luigi Scalfaro fu arcinemico, diavolo, ladro di elezioni. Giorgio Napolitano, comunista falsamente pentito. Di Sergio Mattarella, Giorgia Meloni chiese addirittura l’impeachment, mentre Matteo Salvini ripeté più volte: «Non mi rappresenta». Cinque lustri di invettive e sospetti sul Quirinale, in qualche caso pure fondati, che autorizzano una domanda: sicuri di aver fatto tutto il possibile per promuovere un Presidente super partes

È bizzarro osservare la renitenza del nostro patriottismo militante, sia nella versione pre-sovranista sia in quella attuale, nel partecipare con spirito costruttivo all’elezione del massimo rappresentante della Patria. In quel contesto dovrebbe dare il meglio. Avere idee all’altezza del suo racconto di un’Italia protagonista ed orgogliosa. Dovrebbe essere una fucina di “Presidenti di tutti”, soprattutto adesso che i numeri parlamentari le consentono di orientare il gioco anziché subirlo. E invece, eccola attaccata all’ennesima prova di muscoli che prevede di usare l’assemblea dei grandi elettori come l’ultima platea plaudente del fondatore Silvio Berlusconi, l’estrema claque del Silvio Ci Manchi.

Concentrarsi sulle possibilità di successo dell’operazione, contare i voti che potrebbero mancare, lambiccarsi sul Piano B del Cavaliere, è guardare il dito mentre la Luna piena luccica all’orizzonte. E la Luna è la stupefacente incapacità delle destre di proporre uno schema di intesa repubblicana che parta dal seggio più alto della Repubblica, farsene protagonista, usare la loro forza parlamentare per dire: qui finisce la nostra interdizione al Great Game, il nostro auto-esilio dalla scelta più importante della vita italiana. Qui imbulloniamo il nostro diritto di cittadinanza politica, qui comincia un’altra storia.

Servirebbe coraggio, ma al momento nessuno dei tre soci del Centrodestra ne ha abbastanza per uscire dallo schema «votiamo Berlusconi e poi si vede». E in quel «poi si vede» ci sono due possibili esiti, entrambi deprimenti per la metà del Paese che cerca rappresentanza a destra: il primo è che la coalizione, o una sua parte, dopo gli iniziali voti di bandiera si accodi a scelte imbastite fuori dalle mura del suo castello al solo scopo di non restare totalmente isolata. Il secondo è pure peggiore. Vede il ritorno allo “schema Leone”, coi voti trasferiti sottobanco dal più svelto della famiglia, quello che capirà prima degli altri che l’intesa sul Quirinale gli conviene farsela per conto suo.

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