Il profilo Instagram di Martina Failla sembra esattamente quello di una 28enne del 2021: ci sono foto delle vacanze, serate con gli amici, tanta autoironia, qualche riflessione sui massimi sistemi. L’account ha 33mila follower e da un paio d’anni per Martina è anche un lavoro – o comunque una delle sue fonti di reddito – grazie a pubblicità e contenuti sponsorizzati.
Martina è conosciuta come The Brown Parmigiana, nickname nato per scherzo: è una rivisitazione del “The Blonde Salad” di Chiara Ferragni. «Ho iniziato un po’ per caso», dice a Linkiesta. «Sono sempre stata legata al mondo della comunicazione, infatti lavoro anche come content creator, grafica e fotografa per altre aziende». Poi ha tradotto i suoi studi all’Accademia di Belle arti di Palermo, con una specializzazione in fotografia e arte contemporanea, in nuovi format per IGTV e IG story: #vispiegolarte e #vispiegolafotografia. «L’arte di solito è inaccessibile per linguaggio o contenuto, ma con i social posso renderla fruibile a molte più persone, provando anche ad avere un approccio comico», dice.
I contenuti che più spingono The Brown Parmigiana, però, sono quelli che raccontano la sua quotidianità, tra momenti imbarazzanti e battute divertenti: «Inizialmente», racconta, «pubblicavo pezzi della mia vita, un po’ come tutti, e visto che la mia vita sembra quella di Fantozzi molta gente mi seguiva con piacere, ci divertivamo insieme. Dal momento che mi è sempre piaciuto scherzare, quando ho capito il potenziale ho iniziato a cavalcare l’onda».
I numeri sono cresciuti vertiginosamente soprattutto nell’ultimo anno, in cui The Brown Parmigiana ha triplicato il numero di follower, quindi anche di contenuti sponsorizzati. E non è un’eccezione in questo campo. La pandemia ha allargato a dismisura i confini della influencer economy, un mercato che vive una frettolosa espansione e che oggi vede coinvolte circa 50 milioni di persone in tutto il mondo, di cui circa 3 milioni sono professionisti che ne hanno fatto un lavoro a tutti gli effetti e lo considerano la loro fonte di reddito primaria.
Quasi tutti i creatori di contenuti (content creator) hanno in qualche modo beneficiato della pandemia. I numeri sono impressionanti: TikTok, per fare un esempio intuitivo con una notizia molto recente, ha raggiunto un miliardo di utenti attivi al mese proprio lo scorso agosto, e si tratta di una piattaforma lanciata appena tre anni fa. Il social cinese ha visto un aumento del 45 per cento da luglio 2020: un anno prima gli utenti attivi al mese erano 689 milioni. Gli utenti medi mensili di TikTok ad agosto 2021 sono invece aumentati del 25 per cento rispetto ad agosto 2020.
«Nella prima fase di lockdown era tutto un po’ fermo, anche le collaborazioni con i brand. Poi dall’estate 2020 c’è stata una crescita sensibile, e mi hanno contattato anche brand più importanti. Dipende dal fatto che i miei account sono cresciuti moltissimo: ho praticamente triplicato i follower nell’ultimo anno», dice Martina Failla, che durante la pandemia ha dovuto aumentare il tempo, le energie e l’impegno per sostenere la crescita di The Brown Parmigiana.
Da un po’ di tempo Martina fa parte della squadra di Hoopygang, agenzia per influencer con cui collabora. Linkiesta ha contattato Simone Pepino, Commercial Director & COO dell’azienda, che ha spiegato l’aumento vertiginoso del giro d’affari della influencer economy, anche nel nostro Paese: «In Italia, secondo alcune recenti stime condivise da UPA (Utenti Pubblicità Associati, l’associazione che riunisce le aziende che investono in pubblicità in Italia), quest’anno il giro d’affari del comparto dovrebbe aggirarsi sui 270 milioni di euro. A livello internazionale, secondo l’istituto di ricerca Statista, dai 6,5 miliardi di dollari del 2019 si dovrebbe arrivare al raddoppio quest’anno a quota 13,8 miliardi di dollari. Previsioni recentemente riviste leggermente al rialzo, segno che l’interesse del mercato non è effimero o in via di esaurimento».
L’esplosione dell’influencer economy è anche una reazione dovuta a una delle più grandi ed evidenti conseguenze portate dalla pandemia nel mondo dei brand e del marketing: la diffusione dell’e-commerce.
La crisi sanitaria ed economica ha accelerato il passaggio all’e-commerce e al marketing digitale e, come scrive Axios in un articolo recente, in questo modo ha contribuito a portare le aziende grandi e piccole a investire di più nelle partnership con gli influencer: «Si prevede che i brand spenderanno più di 3 miliardi di dollari in campagne di influencer nel 2021 e oltre 4 miliardi di dollari nel 2022, con Instagram leader di mercato, poi YouTube, Facebook e TikTok. Gli esperti del settore sostengono che il numero di influencer continua a crescere notevolmente, anche se il settore diventa più competitivo».
Si creano nuove opportunità di lavoro, il mercato si aggiusta per accogliere più lavoratori del settore: c’è bisogno di fare pubblicità online, ma piuttosto che proporre sempre gli stessi volti ai consumatori, gli inserzionisti si rivolgono a molti più influencer, e questo crea opportunità di mercato per chi le sa sfruttare.
L’e-commerce sta contribuendo a plasmare il presente e il futuro dell’influencer marketing e della pubblicità. In Italia, però, c’è ancora molto margine di crescita: il commercio elettronico vale il 9 per cento del commercio al consumo (Fonte: PoliMi – Netcomm 2021), e ci si attende che in futuro questo dato si allarghi e nascano nuove opportunità.
«L’influencer marketing», – dice Simone Pepino, «ha certamente giovato del boom dell’e-commerce. Oggi, infatti, le aziende possono utilizzare i talent per supportare la vendita di prodotti ed è possibile misurare le performance di ogni singolo influencer. In più, se agli albori della influencer economy il focus era su parametri di coinvolgimento del consumatore, come follower, like, commenti e condivisioni, oggi il settore orienta i progetti di comunicazione soprattutto verso obiettivi di vendita, quindi indicatori legati al business come il numero di potenziali clienti e le vendite generate».
L’esplosione dell’e-commerce è stata alimentata anche da un altro cambiamento: le piattaforme social negli ultimi tempi hanno sviluppato numerose funzionalità per permettere la vendita di prodotti all’interno dei loro ambienti digitali, rendendo più semplice il lavoro di molti influencer e, in generale, di tutti i content creator che così possono mettere in collegamento il social di riferimento e il portale di acquisto.
Si nascondono ancora diverse insidie, dietro la crescita verticale dell’influencer economy. Uno studio di giugno 2020 della società di consulenza finanziaria Kroll ricorda che la grande maggioranza (85 per cento) delle aziende di beni di consumo ha registrato almeno una volta un impatto negativo sul proprio marchio a causa di un’associazione negativa legata a un influencer, soprattutto se si tratta di “nano-influencer”, cioè account con meno di 10mila follower.
E poi, infine, come per quasi tutte le cose nate da poco, c’è il tema della regolamentazione del mercato, di come andrebbe sfruttato e aperto a tutti senza creare condizioni particolarmente vantaggiose o svantaggiose per determinati attori.
«Come tanti altri mercati», dice ancora Pepino, «anche quello degli influencer ha sperimentato nel tempo alcuni esempi di progetti opachi, talvolta di assenza di trasparenza nell’esplicitare la natura commerciale del messaggio. Una tendenza forse fisiologica ma mai tollerabile. È un settore importante per l’economia del nostro Paese e coinvolge la vita professionale di molte persone: dai tecnici, agli esperti di comunicazione, fino agli influencer, o creator o talent che dir si voglia. Sicuramente tanti passi in avanti sono stati fatti e oggi le linee guida dell’Istituto Autodisciplina Pubblicitaria, che sono la bussola per la comunicazione commerciale e per il nostro comparto, hanno aumentato il numero di attori e strumenti per promuovere la correttezza dell’informazione verso il consumatore».