Ci sono due Milano che spesso hanno difficoltà ad andare di pari passo: quella dei record, delle avanguardie, dei progetti innovativi e quella dell’amministrazione quotidiana, del tessuto popolare, delle necessità elementari. Il problema è che nessuna delle due fa da traino all’altra in modo automatico. Mandarne avanti una lasciando indietro l’altra è questione di un attimo, e la politica lo sa. Tutto sommato la – pur misera – propaganda elettorale del centrodestra era imperniata proprio su questo, ma con la debolezza della strumentalità improvvisata a ridosso del voto, quando invece una vera critica avrebbe dovuto (e in certi casi potuto) produrla in cinque anni di controproposte.
In assenza di opposizione, ora anche Beppe Sala può apertamente dichiarare che quello di amministrare contemporaneamente le “due Milano” con la medesima efficacia è la vera sfida della nuova amministrazione.
Rassicurato dal poterlo dire in quella che è rimasta saldamente “casa sua”, cioè a Palazzo Marino, nella prima seduta del nuovo Consiglio comunale, Sala ha affrontato gli stessi temi dell’immediato post voto, ma privandoli della retorica della vittoria e mettendone allo scoperto le criticità.
Già la definizione della Milano futura come città «sana, verde e giusta», con la quale il sindaco ha inaugurato le linee di programma, contiene tutte le insidie. La città verde è, nelle idee di Sala, qualcosa di inevitabile («tutto va nella direzione della sostenibilità… anche la finanza») e poggia su progetti netti e ambiziosi, come la totalità dei mezzi pubblici convertita a propulsione elettrica, ma deve fare i conti con interessi di categorie – ad esempio quella dei commercianti – che non si conciliano con progetti mal concepiti o incompiuti, come percorsi ciclabili troppo improvvisati.
«L’ecologismo non è un vezzo», nelle parole del primo cittadino, e non è nemmeno una passeggiata, perché c’è tutta una città, tradizionalmente concentrata sull’efficienza, da far camminare sullo stesso sentiero.
Ambiente e lavoro, ma anche centro e periferie, modernità urbanistica e dignità abitativa. Se è vero che Milano per sua natura è luogo d’incontro e di sintesi tra diversità, è anche vero che l’occasione del Pnnr è tanto imperdibile, quanto potenzialmente definitiva: se dovesse lasciarsi alla spalle disparità e scompensi, questi potrebbero non essere rimediabili.
Sala si è attrezzato con una giunta che poggia su esperienze consolidate applicate a punti chiave (Maran a casa e quartieri , Granelli alla sicurezza) e registri di novità eventualmente rimodulabili con un intervento diretto del sindaco stesso, ma fa affidamento anche al monitoraggio capillare dei municipi (oggi tutti a maggioranza di centrosinistra) che «devono con più forza svolgere ruolo di regia sul territorio».
Difficoltà e conflitti si porranno con forza , innanzitutto alla politica, cioè proprio in quel Consiglio comunale dove la maggioranza schiacciante che sostiene il sindaco non potrà non farsi carico dei dissensi, anche a fronte di un’opposizione che già nella prima seduta si è dimostrata forse ancora più povera di progetti che in campagna elettorale.
«C’era e c’è bisogno di evitare che si impongano equilibri consolidati», commenta Giulia Pastorella, una della due consigliere de I Riformisti, che non solo sono l’unica componente a tutti gli affetti nuova nell’assemblea, ma contengono al loro interno forze politiche (Italia Viva, Azione) che non erano presenti nell’istituzione – «le novità ci sono, e noi siamo tra quelle. Se si parla del pericolo di limitarsi alla continuità con i cinque anni passati, direi che lo steso Sala si è mostrato riformista rispetto a se stesso. La svolta verde è coraggiosa, ma il salto in avanti risiede soprattutto nel modo di concepire l’innovazione. Non che l’amministrazione precedente non vi avesse pensato, ma mi sembra che ora ci sia la volontà di costruire spazi, luoghi e modi di lavorare e di muoversi che riguardino tutta la città. Insomma rivedere un po’ le basi del modello Milano».
Del resto sono tre sono i “punti deboli”: il lavoro, la mobilità, lo scollamento tra quartieri. Si tratta in realtà di temi strettamente connessi, laddove i collegamenti – non solo tra centro e periferie, ma tra le periferie stesse – sono strumento per contrastare gli isolamenti e la mancata diffusione del lavoro sul territorio, oltre a cura per certe diversità urbane, affrancando soprattutto giovani e donne senza svuotare i quartieri rendendoli dormitori.
«È importante» – continua Pastorella – «evitare l’approccio ideologico, fare i conti con la realtà in modo concreto. La Milano che produce può e deve essere ovunque nel territorio comunale, basta fare in modo che gli strumenti siano accessibili a tutti. Sono contenta che Sala abbia insistito su due concetti molto cari a noi Riformisti, come il near working e l’accessibilità, cioè la possibilità di svolgere qualsiasi lavoro senza doversi concentrare solo in alcune zone della città e la predisposizione di tutti gli strumenti possibili affinché nessuno trovi ostacoli, fisici e di organizzazione cittadina».
L’emergenza Covid, se da un lato ha paralizzato il processo del dopo Expo, dall’altro ha destrutturato alcune dinamiche, ad esempio con un decentramento obbligato del lavoro. Ora il rischio è che vi sia una “ristrutturazione”, un ritorno a schemi precedenti.
Sala, nell’intervento per l’insediamento del Consiglio comunale, ha lanciato non a caso il concetto di «interpretazione del futuro», chiamando la nuova amministrazione a un’azione dinamica, alla messa a terra di un programma plastico, senza trascurare qualche elemento di rassicurazione, come l’annunciata assunzione di 500 nuovi agenti di polizia municipale.
«Milano è laboratorio politico per il Paese, luogo dove si realizzano azioni che aprono nuovi orizzonti per l’Italia e l’Europa», dice un Beppe Sala. Che sa, però, di dover tenere i piedi ben saldi per terra.