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Favorevoli e contrariHot Desking: la scrivania a turni nel nuovo modello ibrido del lavoro

Una pratica del 1600 adeguata ai giorni nostri. È la nuova frontiera per le grandi aziende, che riducono il numero di scrivanie richiamando i dipendenti a tornare in presenza. Il rischio è quello però di incidere sulla qualità delle relazioni e sul processo creativo

(Unsplash)

La modalità “ibrida” del lavoro, un po’ in presenza e un po’ a distanza, si sta affermando sempre più con l’avanzare della “nuova normalità”. E l’organizzazione degli uffici si adegua al mix.

Una delle abitudini che più sta prendendo piede nei nuovi luoghi di lavoro ibridi è quella dell’hot desking, ovvero la scrivania condivisa, che può essere usata da qualsiasi dipendente in qualunque momento. Previa prenotazione, ovviamente.

Dovendo tener conto delle regole di distanziamento anti-Covid, non tutte le scrivanie presenti nei vecchi uffici possono essere utilizzate, infatti. Gli spazi vengono ridisegnati. E la vecchia idea della “scrivania di proprietà” finisce in soffitta.

Cos’è l’hot desking
Questo sistema prende il nome dall’hot bedding o hot racking, pratica presente sulle navi del XVI secolo quando i marinai condividevano le cuccette, a causa della carenza di letti.

Il modello di hot desking consiste proprio nel fornire al personale tutte le postazioni di lavoro disponibili per ogni giorno e lasciare che il dipendente prenoti quella che preferisce, a seconda ovviamente della disponibilità. A teorizzare per primo l’hot desking è stato l’imprenditore olandese Erik Veldhoen che sul tema dell’organizzazione delle attività ha scritto numerosi libri e sostiene da sempre come la riduzione del numero di postazioni in un ufficio fisico dia la possibilità di variare gli spazi e favorire una gamma più diversificata di stili di lavoro.

La pandemia ha portato l’hot desking a un livello successivo, visto che alla possibilità di mutare gli spazi si è unita, gioco forza, anche la necessità di farlo. «A causa delle misure di distanziamento sociale per garantire una distanza di un metro e mezzo tra le persone, non è stato possibile utilizzare metà delle postazioni di lavoro nella nostra sede. L’unico modo per consentire ai dipendenti di riprendere il lavoro in loco era quello di assegnare le postazioni», ha raccontato Desirée Granda, Global Head of Premises and Services di BBVA.

I loro uffici sono stati i primi a eliminare i cassetti e ad assegnare a ogni dipendente un armadietto in cui riporre i propri effetti personali. Un fattore chiave in questo processo è stato che la maggior parte dei dipendenti dei servizi centrali dell’ente disponeva già di un proprio computer e le apparecchiature informatiche delle postazioni di lavoro erano già completamente standardizzate.

I datori di lavoro
Tagliare il numero delle scrivanie è un vantaggio soprattutto per gli imprenditori e coloro che dirigono le aziende. «A loro certamente conviene, perché così possono tagliare i costi senza grossi problemi», sostiene Franco Fraccaroli, Professore di psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università di Trento. Così facendo, molte aziende riescono a ottimizzare gli spazi, riuscendo a combinare al meglio lavoro in presenza e a distanza.

«Prima della pandemia, quando avevamo un modello di postazione assegnata, ogni giorno in media il 15% delle postazioni veniva lasciato vuoto a causa di viaggi di lavoro, formazione o ferie dei dipendenti. Questo sistema permette di sfruttare queste inefficienze e liberare quello spazio per creare contesti più collaborativi e di interrelazione, assolutamente necessari e richiesti in questi nuovi modi di approcciarsi al lavoro», ha sottolineato sempre Granda.

Un simile approccio permette di riservare la postazione più adatta a seconda dell’utilizzo, come un lavoro individuale, una riunione o una collaborazione con altri colleghi. L’effetto collaterale, tuttavia, è il rischio di peggiorare il contesto lavorativo. «Ridurre le postazioni non fa bene perché così si mina anche la qualità dello stesso lavoro, visto che si riducono drasticamente le interazioni con i colleghi», conclude Fraccaroli.

I lavoratori
C’è poi da considerare il punto di vista dei dipendenti, coloro che dovrebbero trarre vantaggi da una simile situazione, visto che consente una maggiore libertà di azione e la possibilità di poter scegliere lo spazio di cui hanno bisogno. La concezione degli spazi gestiti in questa maniera permette all’azienda di generare nuove idee utili alla produttività ma, allo stesso tempo, permette ai colleghi una migliore conoscenza, contribuendo a instaurare relazioni solide all’interno dell’ufficio.

Lavorare ogni giorno con persone diverse può motivare il dipendente e allo stesso tempo creare un ambiente di lavoro sempre stimolante e mai noioso. Inoltre, favorisce la flessibilità, una delle soft skill più richieste nel mondo del lavoro.

Anche in precedenza la pratica non era del tutto sconosciuta, visto che l’hot desking era anche noto come office hotelling, pratica che permetteva ai lavoratori di adoperare scrivanie comuni prenotandole in anticipo. I vantaggi sono noti. Tuttavia non tutti hanno una visione così ottimistica.

«Dipende ovviamente dai contesti, ma certamente l’hot desking non migliora le relazioni tra i colleghi e toglie un vero e proprio punto di riferimento al lavoratore, la scrivania», sottolinea Fraccaroli. Un tempo scrigno di ogni tipo di oggetto, le scrivanie sono probabilmente destinate a scomparire. La condivisione degli spazi impone infatti rigide regole di sanificazione a cui tutte le aziende si devono attenere, ma ciò che conta è un altro fattore.

«La scrivania rappresenta un segno di appartenenza a un’azienda. Fa parte della nostra cultura avere una sedia, un tavolo e un’area in cui sviluppare il proprio lavoro. Quando questo scompare, mi chiedo se possa scomparire anche la tua lealtà verso la compagnia», ha raccontato Knud Erik Hansen, ceo di Carl Hansen & Søn, azienda produttrice di mobili in Danimarca, in un’intervista su Quartz.

Un’opinione condivisa anche da Fraccaroli. «La mancanza di un punto di riferimento può certamente mutare il senso di appartenenza e identificazione con l’organizzazione, che sia pubblica o privata. Su questo deve intervenire il datore di lavoro, cercando di evitare gli effetti collaterali di tale pratica». Questo dovrà essere l’obiettivo dei titolari delle aziende nei prossimi anni: riuscire a fidelizzare i propri dipendenti, anche senza un posto fisso.

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