Piu vicina l’intesa sul NextGenerationEuEuroparlamento e Consiglio hanno trovato un accordo sul vincolare i fondi europei al rispetto dello Stato di diritto

L’Unione potrà smettere di finanziare quei governi che non rispettano i suoi principi fondamentali. Basterà infatti la maggioranza semplice dei leader nazionali per autorizzare il voto, mentre quella qualificata (55% degli Stati Membri, con almeno il 65% della popolazione) per approvare le sanzioni

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Per ricevere i soldi europei sarà necessario rispettare i valori europei. Il 2020 segna un altro momento storico per l’integrazione dell’UE, con uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni che sembra aver trovato finalmente la sua soluzione. Dopo tre settimane di trattativa, il 5 novembre Parlamento e Consiglio Europeo hanno raggiunto l’accordo per un meccanismo che vincola i fondi comunitari allo Stato di Diritto, l’impalcatura che in ogni Paese garantisce separazione dei poteri e tutela dei diritti dei cittadini. L’intesa, che ora dovrà essere formalmente ratificata dall’Eurocamera e dagli Stati Membri, scioglie il primo dei nodi legati al complesso negoziato sul bilancio europeo, a cui è legato indissolubilmente il Next Generation EU, la risposta europea alla pandemia.

Come funziona il meccanismo di condizionalità
L’accordo rappresenta una svolta nella protezione dei valori democratici europei ed era un obiettivo impensabile solo qualche anno fa, come hanno fatto notare i due rapporteur del Parlamento, il conservatore finlandese Petri Sarvamaa e la socialista spagnola Eider Gardiazabal Rubial. Se funzionerà a dovere, il meccanismo concordato potrà costringere gli Stati Europei a rispettare le libertà civili facendo leva su ciò che più preme ai loro governi: i finanziamenti dall’Europa.

La condizionalità, che si applicherà anche ai miliardi in arrivo dal Next Generation EU, sarà applicabile da gennaio 2021. La Sarà compito della Commissione Europea individuare ogni violazione e segnalarla allo Stato Membro che la commette, con cui inizia un dialogo che può durare dai 3 ai 5 mesi. Se il problema non viene risolto con le buone, l’esecutivo europeo può proporre misure punitive, sospendendo l’accesso dello Stato in questione a determinati fondi del budget comunitario che gli spetterebbero.

L’approvazione di queste misure deve passare dal Consiglio Europeo, che però non può “congelare” la decisione: l’intero processo deve durare un massimo di 7-9 mesi. Su temi molto spinosi, infatti, capi di Stato e di Governo preferiscono spesso soprassedere piuttosto che esprimere un voto potenzialmente molto divisivo: in questo caso non sarà possibile perché la Commissione avrà il diritto di esigere una pronuncia entro un mese, prorogabile a tre in circostanze eccezionali.

«Nessuno Stato avrà il diritto di veto. L’Unione potrà smettere di finanziare quei governi che non rispettano i suoi principi fondamentali», spiega Petri Sarvamaa. Basterà infatti la maggioranza semplice dei leader nazionali per autorizzare il voto e quella qualificata, 55% degli Stati Membri, con almeno il 65% della popolazione, per approvare le sanzioni. 

Così si evita il problema dell’unanimità, che in altri casi tiene il Consiglio Europeo ostaggio del rifiuto di un singolo Paese, come avviene ad esempio in importanti questioni di politica estera o negli stessi negoziati sul bilancio. «I valori europei sono a rischio e hanno già subito gravi danni. Con un meccanismo troppo vago o un voto all’unanimità che lo rendeva impraticabile, avremmo proseguito in questa deriva», sostiene il deputato finlandese, che poi coglie l’occasione per un paragone con gli Stati Uniti. «La Corte Suprema americana è fortemente politicizzata. Dobbiamo evitare che situazioni simili accadano anche in Europa».

Al contrario di altri strumenti comunitari, questo potrà essere utilizzato ex-ante, e non soltanto a giochi fatti. Nella proposta della Presidenza tedesca del Consiglio, il meccanismo doveva attivarsi in caso di violazioni che comportino danni concreti agli interessi finanziari dell’Unione Europea. Grazie all’insistenza dell’Eurocamera, invece, la procedura potrà essere avviata anche in presenza di un serio rischio che ciò accada. L’altro requisito necessario per utilizzare il meccanismo è la “breccia nello Stato di Diritto”, cioè il fatto che le violazioni commesse riguardino i valori fondamentali dell’UE.

Il campionario dei comportamenti sanzionabili è molto ampio: corruzione, frodi ed evasioni legate a fondi europei, ma anche situazioni in cui siano in pericolo i valori fondamentali dei cittadini, come libertà, democrazia, uguaglianza e rispetto dei diritti umani, minoranze incluse. Il Parlamento Europeo, istituzione abitualmente molto attenta a questi temi, non avrà la possibilità concreta di indicare formalmente casi sospetti di violazione, ma può sempre “suggerirli” alla Commissione tramite le proprie risoluzioni. 

Polonia e Ungheria nel mirino
Uno dei punti più importanti dell’intesa, spiegano i rapporteur, è l’articolo specifico che enumera i possibili casi di violazione, inclusi gli attacchi all’indipendenza della magistratura. Proprio questo potrebbe essere il più aspro terreno di scontro fra Commissione e Stati Membri e non è un mistero che le istituzioni europee guardino soprattutto a Est. «Lo Stato di Diritto europeo è in profonda crisi. Gli ultimi sviluppi in Polonia e Ungheria lo dimostrano in modo sconfortante», commenta in una nota il parlamentare tedesco Daniel Freund, membro del team che ha negoziato l’accordo con il Consiglio.

I governi di Varsavia e Budapest hanno già subito diverse procedure di infrazione e per entrambi è stata attivata la procedura dell’Articolo 7 (dalla Commissione per Polonia, dal Parlamento per l’Ungheria), che potrebbe in teoria portarli a perdere temporaneamente il diritto di voto in Consiglio. Al momento, però, gli strumenti in mano a Bruxelles per difendere lo Stato di Diritto in questi Paesi non stanno sortendo gli effetti sperati, come ha sancito una risoluzione parlamentare del gennaio 2020, e l’unanimità richiesta per portare a compimento l’Articolo 7 resta un ostacolo insormontabile. Vincolare l’accesso ai fondi europei a un cambio di rotta, invece, dovrebbe essere un’arma più efficace, soprattutto considerando che Polonia e Ungheria non potranno proteggersi a vicenda con il veto. 

Pure la Spagna, che si appresta a realizzare una controversa riforma giudiziaria, rischia di essere riguardata dal nuovo strumento, anche se Gardiazabal Rubial ha difeso il progetto del suo governo rispondendo a una domanda di Linkiesta: «L’indipendenza della magistratura spagnola è al di sopra di ogni sospetto. Il governo di Pedro Sánchez non teme nulla da questo meccanismo e infatti lo appoggia senza riserve».

Se gli Stati saranno puniti, a risentirne non devono essere però i beneficiari finali, ovvero cittadini, imprese e associazioni a cui i fondi europei sono destinati e che li vedrebbero sospesi a causa delle pratiche scorrette dei rispettivi governi. Secondo quanto spiegato dai tecnici delle Commissioni Parlamentari, verrà predisposto un sistema tramite cui questi beneficiari possono richiedere l’erogazione dei fondi alla Commissione, la quale utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per ottemperare alla richiesta.  

Il meccanismo per vincolare i finanziamenti allo Stato di Diritto soddisfa un’esigenza reale dei cittadini europei, che in un recente sondaggio avevano espresso il loro supporto a un’iniziativa del genere. Ma rappresenta anche un passo in avanti per arrivare a una quadra sul problema più urgente dell’Europa. Trovato questo incastro, Parlamento e Consiglio Europeo sono infatti più vicini a un’intesa complessiva sul budget UE, declinato negli strumenti del Quadro Finanziario Pluriennale e del NextGenerationEU. Lo sblocco dei fondi comunitari agita sia i governi nazionali, alle prese con la seconda ondata della pandemia, sia gli europarlamentari, che non vogliono essere accusati di rallentare il processo. Le divergenze da appianare non mancano, ma almeno ora c’è un punto fermo da cui partire. 

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