Il metalinguaggio della Gen ZNiente rappresenta quest’epoca come i meme (santi numi!)

Un nuovo studio pubblicato su Nature ha analizzato in ogni dettaglio e con metodo scientifico l’evoluzione dei disegni ironici che spopolano su internet. Queste immagini sono una forma di comunicazione sempre più riconoscibile, un vero e proprio spartiacque tra nativi digitali e non

Immagine presa da Reddit

I disegnatori della Pixar non potevano immaginare che la scena in cui Buzz Lightyear prova a rassicurare un disperato Woody in “Toy Story 2” sarebbe diventata virale grazie a Facebook, Twitter, Instagram. Nel 1999 questi social nemmeno esistevano. E chissà se Drake sapeva che gli screenshot del video di “Hotline Bling” sarebbero stati riutilizzati milioni di volte per dire «questa cosa qui non mi piace, questa qui invece è perfetta». È possibile immaginare che Michael Jordan sapesse perfettamente di poter diventare virale quando, durante le riprese di “The Last Dance”, ha detto «… e allora la presi sul personale».

I social media hanno cambiato radicalmente il modo di usare i contenuti multimediali – video, foto, immagini – per comunicare. I meme in particolare sono la vera cifra stilistica della comunicazione immediata dei social e delle chat istantanee.

Il termine meme non è un prodotto degli ultimi anni. La paternità della definizione si deve a Richard Dawkins, che nel 1976 nel libro “Il gene egoista” la usò per indicare un’idea, un gesto, un’azione che si propaga nella cultura di massa diventando rapidamente famosa. Cioè un tassello del processo evolutivo di una cultura di massa. Il meme internettiano è quindi un’immagine, una gif o un video che si diffonde su Internet, che è stata riprodotta più e più volte ed è diventata famoso in brevissimo tempo.

Un nuovo studio, pubblicato su Nature, rivela l’evoluzione e l’impatto dei meme nell’epoca dei social media, arrivando a inquadrarli come un metalinguaggio che appartiene a più di una generazione di persone.

«Non c’è niente che rappresenti così bene la società contemporanea come i meme», dice a Linkiesta Walter Quattrociocchi, data scientist dell’Università La Sapienza che ha co-firmato lo studio “Entropia e complessità rivelano l’evoluzione dei meme” con altri cinque autori. «Un’evidenza chiarissima fin da subito», prosegue, «è che i meme sono diventati proprio l’elemento base di un certo modo di comunicare su Internet. E non c’è un singolo argomento di interesse pubblico che non venga ripreso, esaltato o esasperato con i meme. Vedi l’esplosione del fenomeno Greta Thunberg qualche anno fa o, più di recente, il fallo di Giorgio Chiellini a Bukayo Saka nella finale degli Europei. Ogni cosa viene strumentalizzata nel linguaggio e nella comunicazione spesso ilare e divertente di internet».

Per questo i meme possono essere considerati un metalinguaggio: non hanno sintassi, non hanno grammatica, ma hanno delle forme di rappresentazione simbolica riconoscibili. E queste forme si evolvono secondo un processo di replica. Più una cosa ha successo, più viene usata come template, sopravvive, si riproduce.

«Non a caso», spiega Quattrociocchi, «i ragazzi che oggi vanno al liceo o hanno una ventina d’anni sono bravissimi a realizzare i meme, o quanto meno colgono tutti i riferimenti quando ne vedono uno. I loro genitori, nella maggior parte dei casi, non li capiscono proprio, li annoiano. In questo si capisce quanto i meme rappresentino la linea di demarcazione tra i non nativi digitali e i nativi digitali».

L’analisi dei ricercatori si basa su un’enorme mole di dati: hanno studiato l’evoluzione di 2 milioni di meme pubblicati su Reddit nell’arco di dieci anni, dal 2011 al 2020, e li hanno messi a sistema secondo termini di complessità statistica ed entropia, che è una una misura del disordine.

Per mettere a sistema entropia e complessità, gli autori dello studio hanno dovuto creare una matrice di calcolo che raggruppasse i 2 milioni di meme secondo parametri specifici: il numero di personaggi presenti nel meme, la quantità di immagini usate per realizzarlo, la varietà di colori e di linguaggi, eventuali riferimenti alla cultura pop, ma anche la portata virale (quindi quante volte un meme viene riprodotto e utilizzato come template per altri meme).

I primi meme erano semplici foto di un personaggio in primo piano – spesso animali o volti umani – su sfondi semplici, con una scritta dal font banale; le generazioni successive di meme invece hanno spesso più elementi all’interno, contengono scene di film o video musicali, fotomontaggi o altri dettagli che rendono il prodotto finale più specifico e dettagliato.

«Lo studio», dice Quattrociocchi, «è basato sulla fisica dei sistemi complessi (gli stessi che hanno portato Giorgio Parisi al Nobel per la Fisica, ndr) e proprio per il metodo di lavoro è uno studio pionieristico: i meme non erano mai stati analizzati con questo tipo di approccio, con metodo scientifico, con dati e informazioni così corpose».

L’indagine mostra che l’universo memetico è in rapida espansione, un’espansione esponenziale che lo porta a raddoppiare le proprie dimensioni ogni sei mesi circa. All’aumentare della mole di contenuti aumenta anche la loro complessità, arrivando a rappresentare in maniera sempre più precisa, tempestiva e sfumata tendenze e atteggiamenti sociali del momento.

«Osserviamo una crescita esponenziale», si legge nel paper su Nature, «del numero di nuovi template creati. In particolare, la nascita di nuovi meme è accompagnata da una maggiore complessità visiva del contenuto dei meme stessi, che è paragonabile a una tendenza osservata anche nell’arte pittorica».

Il riferimento all’arte non è casuale, spiega Quattrociocchi: «Analogamente a quanto avviene nella pittura, anche i meme si fanno sempre meno elementari, sempre più articolati, ma non necessariamente difficili da comprendere».

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