Un mare di soluzioniCome si fa a ridurre l’inquinamento da microplastiche in mare?

Per eliminare la plastica che si deposita sui fondali degli oceani e dei fiumi non basta cambiare stile di vita e consumi: è anche necessario rimediare al danno già fatto. Tra il 2016 e il 2020 è stato lanciato il 73% delle invenzioni documentate per contrastare questo problema. Eccone alcune

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Piccoli pezzi di plastica, lunghi meno di 5 millimetri, talvolta invisibili all’occhio umano e presenti in una serie di prodotti di uso quotidiano come cosmetici, vestiti sintetici, borse e bottiglie. Questi inquinanti non biodegradabili, conosciuti con il nome di microplastiche, tendono ad accumularsi negli ecosistemi con gravi effetti collaterali per la salute dell’ambiente.

Le vittime designate sembrano essere gli oceani e i corsi d’acqua dove, sin dall’inizio del ventunesimo secolo, sono state scaricate tra le 4 e le 14 tonnellate di plastica l’anno. La sostanza è stata trovata anche nell’apparato digerente di 114 specie acquatiche o similari come crostacei, pesci e uccelli.

L’ingestione della microplastica può causare tossicità all’apparato digerente e riproduttivo di questi animali e può risalire, attraverso la catena alimentare, sino all’uomo. Secondo Will McCallum, responsabile della tutela degli oceani di Greenpeace Uk, entro il 2050 potrebbe esserci più plastica nell’oceano che pesci.

Per eliminare la plastica che si deposita sui fondali degli oceani non basta cambiare stile di vita e consumi, dato che è anche necessario rimediare al danno già fatto. Gli strumenti tecnologici che mirano a risolvere questo problema sono ben 177 e sono in costante crescita. Uno studio pubblicato da Nature Sustainability ha chiarito come tra il maggio del 2016 e quello del 2020 sono state lanciate il 73% delle invenzioni e innovazioni documentate.

Una di queste è il drone WasteShark, che raccoglie in maniera autonoma plastica ed altri rifiuti durante la navigazione, senza emettere gas serra e con un costo contenuto. I cestini galleggianti del Seabin Project, invece, catturano mozziconi di sigarette, microfibre e microplastiche risucchiando l’acqua e filtrandola.

C’è anche l’Ocean Cleanup Project, un progetto lanciato nel 2013 che consisteva nell’ancorare una massiccia barriera galleggiante a forma di “U” al fondo del mare. La barriera si muoveva seguendo il flusso delle correnti ma la velocità raggiunta non era sufficiente per intrappolare i rifiuti. Per migliorare le cose e mantenere una velocità costante si è costruito un paracadute ed utilizzata una barca. L’Ocean Cleanup ha rimosso 8 tonnellate di plastica nel corso dell’ultimo test.

In Repubblica Ceca i ricercatori stanno dando vita a robot minuscoli, grandi quanto un globulo rosso, che possono aiutare nel raccogliere le microplastiche. I microrobot sono magnetici, hanno la forma di una stella e quando la luce solare li colpisce producono una reazione chimica che gli consente di muoversi in acqua seguendo una specifica direzione. Quando trovano un pezzo di plastica vi si aggrappano e iniziano a distruggerlo mentre quando la luce va via lo lasciano andare e possono essere riutilizzati.

L’obiettivo finale, come ricordato da Martin Pumera che è a capo del progetto e lavora presso l’Università Ceca di Chimica e Tecnologia, è quello di costruire robot poco costosi ed ecologicamente sostenibili che possono essere usati ovunque nel mondo. In particolare, negli impianti dove la plastica può essere rimossa prima di raggiungere l’acqua aperta.

La caccia alla microplastica può assumere la forma di una spedizione in barca a vela in grado di coniugare navigazione, scienza ed educazione ambientale. È il caso della campagna lanciata dalla Sail&Explore Association con l’Adolphe Merkle Institute – Université de Fribourg (Svizzera) ed il patrocinio e la partecipazione della Stazione Zoologica Anton Dohrn – Istituto di Biologia Ecologia e Biotecnologie Marine. La spedizione ha avuto luogo tra l’11 e il 24 settembre nell’arcipelago delle Eolie e nell’Area Protetta di Capo Milazzo e la squadra di scienziati a bordo è stata impegnata nella ricerca, esplorazione ed educazione ambientale. L’obiettivo della missione è stato quello di raccogliere campioni di microplastica e di compararli con quelli già in possesso dai ricercatori; si sono svolte anche lezioni incentrate sull’ecologia marina.

A salvare il mare dalle microplastiche potrebbero essere i bambini, spesso tra i più attenti alla protezione degli animali ed alla difesa dell’ambiente. Il progetto Plastic Busters MPAs, per educarli e sensibilizzarli ai rischi delle microplastiche per i mari, ha lanciato nel 2018 una collaborazione con una serie di figurine. Un’iniziativa interessante e lungimirante dato che saranno i bambini di oggi ad avere più possibilità di salvare il mare di domani.

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