Pordenone, inverno del 2017. Elisabetta Michielin, Luigina Perosa e Gabriella Loebau, volontarie e attiviste della Rete Solidale Pordenone, prestano soccorso a una settantina di richiedenti asilo che hanno trovato un rifugio di fortuna nel parcheggio dell’ente pubblico Inail.
Invisibili che di diritto rientrano nel sistema di accoglienza istituzionale, ma che di fatto vivevano ai margini della società, in una piccola città alle porte della rotta balcanica. Sono passati anni, ma il 10 novembre le tre attiviste dovranno comparire davanti al tribunale di Pordenone, insieme a 9 richiedenti asilo, a loro volta indagati.
I capi d’imputazione sono occupazione di terreno altrui o pubblico, deturpamento dello stesso e concorso di reato, che si tradurrebbero in pene fino a due anni di reclusione e fino a 2.000 euro di sanzioni qualora dovessero essere condannati.
La denuncia da parte dell’Inail è solo il culmine di lotte intestine, tra diritti e muri, che da anni stravolgono il Nord-est del nostro paese.
Ma Michielin, Perosa e Loebau non saranno sole il 10 novembre. Intorno alla vicenda è nata fin dai primi giorni una mobilitazione in loro supporto, che il giorno della deposizione accompagnerà le tre attiviste, esibendo cartelli che simbolicamente riportano: «C’ero anch’io».
Parte della cittadinanza di Pordenone si è fin da subito stretta intorno al lavoro di chi, tutti i giorni, aiuta persone che il sistema di accoglienza abbandona. Non tutti, però, e soprattutto non le istituzioni politiche.
Continua a leggere su Nuove Radici