Destracentro e altri fallimentiStoria del fracasso del centrodestra italiano

La stagione del bipopulismo ha trasformato la coalizione che una volta era liberale e conservatrice in un insieme di grida scomposte. Lo schieramento di oggi, oltre a esultare per il blocco di una legge sui diritti civili e precludersi ogni possibilità di governo, è in grado di garantire poco altro

LaPresse

Per capire meglio la difficile fase di travaglio del centrodestra, è necessario ricorrere alla ricostruzione storica, al “c’era una volta”:

Un tempo la parola centrodestra non esisteva. Usciti dall’adolescenza semplice ed ingenua della triade destra-centro-sinistra, nella prima metà degli anni ’60 del secolo scorso si affacciò solo un nuovo posizionamento per ardimentosi: centrosinistra. Era il frutto delle prime timide aperture di Fanfani e Moro a sinistra: verso il PSI, ancora indugiante nella vacuità degli “equilibri più avanzati”, e poi direttamente verso il PCI.

Centrosinistra era una espressione che aveva una sua dignità: piaceva a metà DC, dava ad Ugo la Malfa la patente di lungimiranza, consentiva a Malagodi di aver un bersaglio polemico per crescere.

Era anche un modo, per la sinistra, di affermare un forte diritto di cittadinanza nell’Italia dominata dalla Democrazia Cristiana, con l’appoggio convinto di tutto il progressismo intellettuale. Più tardi sarebbe stato anche oggetto di un esercizio per raffinati: centrosinistra con o senza trattino? Un bel divertimento per saggisti in spolvero.

Tutt’altro destino per il vocabolo destra, usato solo per distinzione o per segnalare un ghetto, troppo recente essendo l’infamia della dittatura. Anche centrodestra, dunque, era un termine che non si usava proprio. La DC era un partito di centro che guardava a sinistra, con qualche minoranza che si auto-collocava a sinistra guardando al centro, ma dall’alto, con distacco. Un pascolo per aclisti, sindacalisti cattolici, avanguardie cattocomuniste. Dalla destra si stava comunque alla larga. Il centrismo era duro e puro, rafforzato proprio per distinzione dalla destra. Quando nel PLI, prima di Valerio Zanone, vinse per breve tempo la destra interna, il segretario Bignardi protestava di essere “il centro del centro”.

Tutto è cambiato con Berlusconi, quando, inaugurando un supermercato, fece dichiarazione di voto per Gianfranco Fini Sindaco di Roma. Fu davvero quello il battesimo del centrodestra. Da allora il vocabolo è stato sdoganato, anche se il suo inventore esagerò un po’, come al solito, nelle definizioni. Per lui il costruendo centrodestra era tout court una cosa certamente liberale, ma al tempo stesso “popolare”, “di massa”, un “polo”, no anzi una “casa”, no, un “popolo”, sempre della libertà, che cominciò allora a star bene su tutto. La parola liberale, polverosa e elitaria, prendeva il posto del termine “democrazia” sempre meno proponibile dati i risultati della Germania “democratica” e persino della Cambogia e di qualche Repubblica africana. Meglio tutti liberali, senza equivoci.

Il termine centrodestra ha così vissuto una lunga stagione di successi ed insuccessi, accettata definitivamente nel lessico politico.

Una stagione lunga quasi 25 anni, con un solo leader, bersagliato e acciaccato ma indiscutibile, il solito Berlusconi sempre redivivo ogni volta che veniva dato per finito. Stava per mollare davvero, ma in Piazza del Duomo uno squilibrato gli spaccò la faccia e il San Raffaele diventa la culla di un nuovo revival. A guidare il triciclo sempre lui, col sorriso sgargiante che nascondeva le magagne dei due ruotini che lo tenevano in equilibrio: una Lega scesa ad un certo punto fino al 4% ma poi risalita nella staffetta Bossi-Salvini, e una destra che ha cambiato nome più volte, mantenendo comunque la fiamma di Almirante fino alla sua versione più recente, segreteria Meloni.

Poi, alla vigilia del terribile 2018, quello che fece nascere il bipopulismo trionfante, il fatale errore dell’intercambiabilità del leader: accettare la regola che la coalizione sarebbe stata guidata da chi prendeva più voti. Non la convergenza su un nome gradito da tutti, ma proprio un concorso di bellezza elettorale.

Un errore che ha consentito al centrodestra di diventare destracentro, un ossimoro, perché il centro può utilizzare (strumentalmente) la destra, ma che centro è un centro che si fa dirigere dalla destra?

Per un po’, la cosa è andata bene, e ci siamo tutti divertiti quando per la prima volta, alle consultazioni al Quirinale, Salvini ha avuto il microfono e Berlusconi la seconda fila, ma mimando il discorsetto del nuovo leader, per far capire che lo aveva scritto lui.

Caduto il principio che la guida del triciclo era assegnata comunque al fondatore, al federatore, le conseguenze sono state rovinose: rivalità tra i due emergenti, con sorpassi e controsorpassi, sbandamento tra i ”liberali” di Forza Italia, che peraltro non avevano fatto una piega quando nei collegi maggioritari avevano preso i voti decisivi dei sovranisti.

E veniamo così all’oggi, con la rovinosa caduta dei candidati Sindaci per caso, immolati davanti agli elettori di Milano e Roma, caduta che ha introdotto dubbi sulla sicura e straordinaria vittoria del centrodestra alle prossime elezioni politiche.

I sondaggi dicano pure quel che vogliono (anche che i 5Stelle sono in doppia cifra, ed è lecito dubitarne fortemente), ma i fatti della politica si muovono in direzione opposta.

Dallo sgambetto di Renzi ai tempi del Papeete al Covid, a Draghi, tutto ha congiurato contro un destracentro intento a scegliere tra due leader scesi/saliti al 20% con due aspiranti Premier che l’Europa proprio non ci invidia.

Qui sta il punto.

Il centrodestra non è più un centrodestra e un’Italia diventata più europea e più europeista non può permettersi il lusso di diventare un vagone di Viesegrad. L’impasto di populismo e sovranismo che ha fatto la fortuna di Lega e Fratelli, è incompatibile con l’Europa che nel momento più forte di crescita del populismo, con Trump presidente e la Brexit, ci ha dato per fortuna la Von Der Leyen.

La differenza la fa Draghi, che anche l’opinione pubblica più distratta ha capito che è un’ancora di salvataggio. Uno che per di più ti taglia le tasse e manda un generale degli alpini a vaccinare la gente, convince per forza metà dei leghisti a disubbidire a Salvini, ed è bastato un caffè da Giolitti con Giorgetti a far capire al Capitano che gli conveniva entrare nel Governo di Draghi.

Quanto alla Meloni, ha afferrato l’invidiato spazio di lotta ponendosi all’opposizione, e sta meglio di salute perché di questi tempi chi fa scelte chiare ci guadagna. Persino Forza Italia ha ripreso fiato dando appoggio al Governo.

Ma quanto potrà durare questa triplice diversa vocazione in bilico tra tre opzioni diverse?

Il problema, in tutta chiarezza, è proprio la collocazione internazionale del destracentro. Meloni aveva fatto la mossa giusta facendosi eleggere presidente dei conservatori europei, che ancora mantengono un po’ di credibilità politica, ma poi è andata al comizio di Vox, ed ha ineliminabili affinità elettive con ungheresi e polacchi. Quasi un istinto non reprimibile.

Salvini non riesce a staccarsi dalla Le Pen, che se la passa male anche in casa propria.

Forse nell’ex centrodestra ci vorrebbe un Gigino Di Maio, uno cioè capace di ribaltare se stesso senza scompigliare la cravatta e stropicciare il blazer. Uno che è vissuto di antipolitica ma ha scritto (?) un libro sull’amore per la politica, e che passa in tutti i talk show a riscuotere i seriosi assensi di Bruno Vespa, un tempo simbolo della casta dei giornalisti venduti.

Tutto lo spazio doroteo è oggi però occupato proprio da questo funambolo capace di saltare in un amen da Bibbiano al più bieco conformismo di regime, tutto buon senso e moderazione, niente gilet gialli, delinquenti quelli di piazza del Popolo.

Cosa possono fare di più Salvini e Meloni? Per tentare il colpo di far dimenticare agli italiani il destracentro senza perdere voti e sondaggi, e cercare un indispensabile greenpass internazionale, hanno i tre mesi che ci separano dall’elezione del Presidente della Repubblica.

È una no flight zone indispensabile per far credere a Berlusconi che può aspirare al Colle come candidato del centrodestra, e tutto è congelato.

Ma da febbraio cambierà tutto nel centrodestra che fu, e sarà proprio un Berlusconi scottato dalla imminente tragicommedia a Camere unificate che – eterno rieccolo – riaprirà le danze, sempre da solo, perché è il suo destino, ed è ormai dimostrato che con i Taiani non va lontano.

Allo stato, almeno, c’è poco da aspettarsi da un ex centrodestra che si fa da solo un’ovazione umiliante per il blocco, gradito anche in Ungheria e Polonia, di una legge sui diritti civili, e proprio per questo si preclude un futuro di governo.

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