Nel film “Still Alice” la protagonista interpretata da Julianne Moore la definiva come «l’arte di perdere ogni giorno», edulcorandone gli aspetti più drammatici. Il riferimento era al morbo di Alzheimer, la forma di demenza degenerativa più comune a livello globale tra i soggetti che hanno compiuto i 65 anni d’età. In Europa si stima rappresenti il 54% del totale di questo tipo di patologie, con un’incidenza di circa il 20% superiore nel genere femminile (a causa della menopausa e del conseguente calo degli estrogeni).
Partendo da questi dati è stato sviluppato il test Ica (Integrated Cognitive Assessment). Si tratta di un software eseguito su iPad che effettua uno screening semi-supervisionato per la diagnosi di questa malattia e di altre forme di demenza, sviluppato dalla startup britannica Cognetivity Neurosciences e recentemente approvato dalla Food and Drug Administration per la commercializzazione negli Stati Uniti. L’obiettivo è di renderlo un controllo a cadenza annuale, in modo da tenere monitorati i pazienti rispetto a potenziali segni di malattia neurodegenerativa, prima che questi ultimi diventino evidenti nel comportamento.
Come funziona? Il test viene eseguito su un iPad. Una serie di immagini intermittenti compare sullo schermo: una zebra, un ponte ferroviario, lampi di scene di una spiaggia in bianco e nero, uno scorcio di un uccello esotico; il tutto intervallato da griglie monocromatiche. Il compito dell’utente è semplice: deve toccare il touchscreen sul lato destro ogni volta che compare un animale e sul lato sinistro quando ciò non accade.
Frutto di una ricerca dell’Università di Cambridge, il programma utilizza un’intelligenza artificiale addestrata su una base di pazienti con demenza a esordio precoce, che combina la velocità e l’accuratezza del soggetto nell’elaborazione delle risposte del test con le informazioni relative al suo stile di vita, all’età e all’etnia, calcolando un punteggio di rischio degenerativo complessivo.
Rispetto alle valutazioni radiali per la diagnosi di demenza basate su carta e penna, l’Ica offre ai medici numerosi vantaggi: un test che richiede cinque minuti è facile da compiere e – grazie alla sua varietà – anche nel monitoraggio reiterato non mostra alcun rischio di apprendimento (da parte dei pazienti) di espedienti che possano falsarne l’esito. Inoltre, grazie alla sua natura computerizzata, può essere effettuato anche a distanza.
I nuovi fronti dell’ingegneria biomedica
La rivoluzione diagnostica promessa dal test Ica si inserisce in un contesto di più ampia portata: l’ingegneria biomedica ha compiuto progressi notevoli negli ultimi anni, in particolare nel corso dell’ultimo biennio (2020/2021). Si tratta di un campo interdisciplinare che sfrutta applicazioni di vario tipo (meccaniche, elettroniche, informatiche, chimiche…) alla cui base c’è l’ideazione e la progettazione di sistemi e soluzioni con un’implicita finalità d’integrazione clinica.
Tra i fronti di ricerca più attivi c’è quello che riguarda l’ingegneria dei tessuti. Il bioprinting, ad esempio, è un processo di stampa di cellule umane (chiamate bioink), che vengono prodotte in strati sottili grazie ad apposite stampanti 3D. I ricercatori statunitensi del Wake Forest Institute for Regenerative Medicine nel North Carolina hanno sfruttato un particolare dispositivo di stampa per realizzare tessuti che prosperano e si riproducono se impiantati nei roditori, in maniera similare a quanto accadrebbe negli esseri umani.
In tempi recenti, anche gli studi e gli impieghi della robotica automatizzata hanno restituito risultati considerevoli. Ne è un esempio Lokomat, strumento di riabilitazione per soggetti a cui vengono riscontrate patologie quali paraplegia, paralisi celebrale e sclerosi multipla; si tratta di un’infrastruttura composta da un tapis roulant, un sistema di scarico del peso del paziente, un doppio esoscheletro che avvolge le gambe e un monitor per il controllo dei dati. La terapia offre al paziente grandi progressi terapeutici attraverso ripetizioni ad elevata intensità di allenamento. Nel 2020, la compagnia che ha realizzato il macchinario (Hocoma) ha celebrato la sua millesima installazione in ambiente ospedaliero.
Caldissime sul fronte dell’ingegneria biomedica sono anche le applicazioni derivate dagli studi sulla nanorobotica. Una ricerca condotta da Stati Uniti e Cina che ha coinvolto il Centro nazionale per le nanoscienze (Ncnst) e l’Arizona State University (pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology), ha dimostrato come dei dispositivi nanorobot mille volte più piccoli di un capello possano viaggiare nell’organismo umano e uccidere i tumori presenti nel soggetto, chiudendo i vasi sanguigni che li nutrono.
I nanorobot sono composti da Dna e hanno dimensioni irrisorie: sono simili a microscopici fogli delle dimensioni di 90 o 60 milionesimi di millimetro. Durante la sperimentazione sono stati iniettati nel corpo di alcuni topi e, viaggiando nel sangue, hanno riconosciuto le cellule tumorali per poi comportarsi come “cavalli di Troia”, liberando un enzima benefico (la trombina) al loro interno.
Non finisce qui: come figura nel report 2021 di ScienceDirect (“Virtual and augmented reality for biomedical applications”), anche le tecnologie legate alla realtà virtuale si sono perfezionate nell’arco degli ultimi anni, trovando campo fertile nell’applicazione biomedica. Oggi questo approccio fornisce, tra le altre cose, strumenti per la visualizzazione di modelli 3D piuttosto che rappresentazioni 2D: i dati di tipo volumetrico beneficiano in questo modo di un’analisi specialistica più accurata e di un’interazione più diretta con immagini microscopiche, dati molecolari e set di dati anatomici. In grande ascesa è soprattutto l’ambito relativo all’extended reality (Xr), termine che identifica la combinazione tra gli ambienti virtuali e quelli reali e che ingloba tra loro realtà aumentata (Ar), realtà mista (Mr) e realtà virtuale (Vr).
Su questo fronte, è in fase di sperimentazione l’Arm (Augmented reality microscope) di Google. Si tratta di un microscopio a realtà aumentata realizzato in collaborazione con la Defense Innovation Unit del Pentagono, che utilizza l’intelligenza artificiale per aiutare i medici militari statunitensi nella rilevazione del cancro nei tessuti umani analizzati.
L’Arm è composto da un microscopio e da un computer che esegue un software basato su algoritmi di deep learning (l’apprendimento automatico di un’intelligenza artificiale che analizza dati). Quest’ultimo acquisisce le immagini restituite dal microscopio e, tramite l’applicazione degli algoritmi, visualizza in tempo reale risultati diagnostici migliori. Lo strumento sarà presto disponibile negli Stati Uniti per alcune strutture di trattamento della Defense Health Agency e per gli ospedali del Department of Veterans Affairs.