Mezzo pieno, mezzo vuotoE quindi, com’è andata Cop26?

Molti attivisti e commentatori sono stati scontentati dalla mancata eliminazione dei finanziamenti per i combustibili fossili e degli impegni per la riduzione dei gas serra. Ma a Glasgow si sono anche ottenuti risultati importanti, dall’accordo Usa-Cina a quello sulla deforestazione

AP Photo/Alastair Grant

Stando al riassunto che ne hanno fatto molti politici e attivisti, la Cop26 di Glasgow non ha portato i risultati sperati. L’immagine che rappresenta meglio lo scontento diffuso è quella in cui si vede Alok Sharma, il presidente della conferenza, che si commuove: si porta istintivamente le dita sotto gli occhi e sotto il naso per provare a trattenere le lacrime. 

La delusione ha le sue ragioni di esistere, soprattutto per come sono andate le ultime ore di contrattazioni prima di chiudere l’accordo finale, che, come da tradizione, viene firmato da tutti i delegati e rappresentanti di 200 Stati. Eppure questa Cop26 appena conclusa ha portato anche alcuni buoni risultati. Per farsi un’idea completa vale la pena guardare sia il bicchiere mezzo pieno che quello mezzo vuoto. Partiamo dai punti su cui questa Cop ha fallito.

In una prima bozza di accordo finale si parlava di «eliminare gradualmente l’uso del carbone e dei finanziamenti per i combustibili fossili», ma la parola «eliminare» nell’ultima bozza è stata rimpiazzata con «ridurre». Apparentemente la modifica è stata fortemente voluta da Cina e India, che non a caso sono tra i più grandi utilizzatori di combustibili fossili al mondo.

La differenza tra i due termini, per quanto sia solo formale, rischia di avere ripercussioni sostanziali. Mettiamola così: se fosse rimasta la parola «eliminare», allora gli stati sarebbero stati tenuti ad adottare politiche chiaramente mirate a rimpiazzare i combustibili fossili con altre fonti energetiche. E poi renderne conto pubblicamente come anche nelle prossime Cop. In questo modo, invece, visto che si tratta soltanto di impegnarsi a una “riduzione”, per poter dire di rispettare l’accordo basterà diminuirne l’uso. Anche solamente di una percentuale minima. Per esempio, un paese che passa da dipendere dai combustibili fossili nel 2022 per il 79% del suo fabbisogno energetico al 78% nel 2025, starebbe comunque rispettando l’accordo. Ed è evidente che una diminuzione simile non può avere un ruolo attivo nel rallentamento del riscaldamento globale.

Un’altra delusione – che però non è arrivata all’ultimo momento, ma si dava quasi per scontata – riguarda i cosiddetti Nationally Determined Contributions (solitamente abbreviato in “Ndc”). Si tratta degli impegni dei vari stati per raggiungere la neutralità carbonica, cioè l’equilibrio tra i gas serra emessi e quelli che l’ecosistema riesce ad assorbire. Ebbene, solo l’India ha migliorato i propri Ndc al summit appena concluso in Scozia. Tutti gli altri blocchi politici hanno ribadito quelli già presi in occasione della Cop21, quella che portò agli Accordi di Parigi del 2015. 

Da un certo punto di vista, il fatto che gli impegni presi agli accordi di Parigi siano stati ribaditi è una buona notizia, visto che sono considerati ambiziosi e prevedono l’obiettivo di rimanere entro i +1,5° rispetto ai livelli preindustriali. Eppure, visto che il problema climatico negli scorsi sei anni è peggiorato, molti attivisti e politici si sono detti ampiamente delusi dall’assenza di nuovi provvedimenti e impegni in questo senso. Anche perché è vero che l’India ha migliorato i propri Ndc, ma lo ha fatto stabilendo di raggiungere la neutralità carbonica solo nel 2070. Un obiettivo considerato insufficiente. 

La preoccupazione riguarda le temperature globali. Come avevamo raccontato qui su Linkiesta una ricerca pubblicata dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) ha stimato che i recenti accordi, se venissero rispettati e implementati a dovere, riuscirebbero nel tentativo di rimanere entro i +1,8°. Ma ci sono anche stime diverse e che preannunciano uno scenario peggiore: prendendo in considerazione soltanto gli impegni sul breve periodo, quelli che siamo abbastanza sicuri verranno mantenuti, ma non quelli sul lungo periodo, che sono vaghi e potrebbero essere disattesi, i ricercatori di Climate Action Tracker hanno previsto un aumento delle temperature di +2,4° rispetto ai livelli preindustriali. 

Questo era il bicchiere mezzo vuoto. Come dicevamo all’inizio, però, la Cop26 alcuni obiettivi li ha raggiunti.

Gli Stati Uniti e la Cina hanno trovato un accordo comune promettendo di collaborare sulle questioni climatiche, un annuncio sicuramente vago, ma dall’alto valore simbolico, tanto che secondo diversi analisti sarebbe questo il risultato migliore ottenuto dalla Cop26. Nonostante la mancanza di decisioni specifiche, infatti, la collaborazione delle due superpotenze (che sono anche i paesi che inquinano di gran lunga di più al mondo) potrebbe condizionare positivamente la lotta al cambiamento climatico nei prossimi anni. Tanto più che Cina e Stati Uniti hanno il potere di influenzare con le loro decisioni molte altre nazioni, cioè quelle che dal punto di vista politico ed economico hanno un ruolo ancillare con Washington e Pechino. E non sono poche.

Un altro buon risultato è che nel documento finale è apparso l’impegno a ridiscutere gli NDC ogni anno. Potrebbe essere il modo in cui riuscire a mediare e raggiungere obiettivi più ambiziosi in meno tempo possibile. Negli Accordi di Parigi, invece, era previsto che si ridiscutessero i propri impegni per raggiungere la neutralità carbonica solo ogni cinque anni.

Anche se non se ne è parlato tanto, a questa Cop26 l’Italia ha presentato il suo documento ufficiale sull’adattamento ai cambiamenti climatici. Si tratta di un documento presentato dal nostro Ministero della transizione ecologica (Mite) alle Nazioni Unite. Scorrendo la decina di pagine che lo compongono si leggono previsioni, dati e provvedimenti che il nostro paese prenderà, per l’appunto, per adattarsi al clima che cambia. Si sottolinea come siano soprattutto le acque e il dissesto idrogeologico i punti deboli del nostro territorio, e saranno anche quelli che subiranno più duramente i mutamenti climatici. Le acque, in particolare, saranno un aspetto da salvaguardare con impegno e risorse straordinari visto che da qui al 2080, per quanto riguarda i fiumi, si prevede “un decremento fino al 40% dei flussi”. 

Alla Cop26 sono stati presi anche diversi accordi su temi specifici. Su tutti l’accordo sulla riduzione dell’uso del metano. Oltre cento paesi si sono impegnati a ridurre del 30% le loro emissioni di metano entro il 2030. L’accordo comprende anche l’Unione Europea e gli Stati Uniti, ma non lo hanno firmato i delegati di Cina, India e Russia, cioè tre dei paesi che emettono più metano in atmosfera. Insomma, sul metano c’è stata una vittoria a metà.

Un altro accordo settoriale raggiunto alla Cop26 riguarda la deforestazione. Un tema su cui il Regno Unito, che a Glasgow ha fatto gli onori di casa, ha insistito molto. L’accordo prevede che entro il 2030 cessino completamente le attività di deforestazione. Tra gli oltre cento paesi firmatari ce ne sono di decisivi per via del grande numero di foreste che ospitano nel loro territorio, paesi come il Canada, l’Indonesia e il Brasile. Ma anche in questo caso la vittoria è monca: perché non c’è stato modo di rendere l’accordo vincolante e perché a Cop26 ancora in corso, poche ore dopo averlo firmato, la delegazione indonesiana lo ha definito “ingiusto” e ha detto esplicitamente che non lo rispetterà.

L’accordo settoriale più importante, però, non poteva che riguardare l’inquinante più importante, cioè il carbone. Come riporta il sito delle Nazioni Unite alla Cop26 si è finalmente iniziato a parlare di dismissione del carbone come fonte di energia. Può sembrare assurdo, ma non era mai successo prima. E nonostante il colpo di coda di Cina e India nei momenti finali di discussione dell’accordo, questo rimane un dato di una certa importanza, anche se meramente simbolico. Come dicevamo non si è riusciti a trovare un accordo comune sull’abbandonare il fossile, ma nel concreto l’accordo prevede alcuni punti interessanti, come l’impegno delle più grandi banche internazionali a non concedere più finanziamenti per la costruzione di centrali a carbone entro la fine del 2021. Inoltre, tra i paesi che hanno preso l’impegno di abbandonare gradualmente il carbone almeno cinque appartengono ai venti che usano più carbone al mondo.

A questo punto è legittimo porsi una domanda ovvia: gli impegni presi riusciranno ad avere qualche effetto? Non ci sono ancora delle stime che tengano conto delle ultime novità. Ma nel frattempo vale il rapporto stilato dal Climate Action Tracker – un gruppo di ricerca che lavora proprio per monitorare in modo imparziale l’inquinamento atmosferico – basato sui dati disponibili prima della Cop26. Secondo i ricercatori gli impegni dei vari stati avranno degli effetti, ma si tratta di «effetti limitati» e probabilmente insufficienti.

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