Durante il primo governo Prodi (1996-97) Massimo D’Alema fece una delle sue battute velenose: «Abbiamo dato le chiavi del partito a Prodi, speriamo che ce le restituisca…». Qualcosa di analogo sembra esserci anche nella situazione di oggi, con i partiti, con diverse gradazioni, che ritengono che Mario Draghi abbia preso le chiavi del Paese e non vedono l’ora che gliele restituisca.
Ancora una volta scatta nei partiti un riflesso condizionato come quello che a Peter Sellers-dottor Stranamore faceva tendere il braccio destro del saluto fascista: è il destino degli estranei alla Politica dei partiti quello di trovarseli improvvisamente pronti a tramare, dopo essere stati reclamati e osannati.
L’allarme di Matteo Renzi forse va letto in questa luce: qui potrebbe stare la «convenienza», il punto di incontro tra Letta, Salvini e una certa misura Conte per anticipare le urne a giugno, o forse qualche mese prima, dopo aver “promosso” SuperMario al Quirinale, ovviamente con una buona dose di voti contrari.
Per questo è probabile che i “quirinabili” cadano come birilli uno dopo l’altro e che i loro nomi vengano fatti circolare proprio allo scopo di danneggiarli con largo anticipo dall’inizio della Grande Corsa: adesso è il turno di Paolo Gentiloni, già “attenzionato” in senso negativo da qualche giornale, ed effettivamente l’attuale commissario europeo all’economia ha molte carte buone da giocare, e dunque già attira su di sé le antipatie di sfasciacarrozze in servizio permanente effettivo.
Di certo l’ex premier è molto cercato, a Bruxelles sono andati a pranzo o a cena con lui prima Enrico Letta e poi – notizia di ieri di Repubblica – Matteo Renzi, una indiscrezione a quanto pare non fatta trapelare da quest’ultimo.
La variabile che potrebbe rovinare i piani dei sostenitori di Draghi, coloro che lo vorrebbero al Quirinale per riprendere in mano loro i fili della politica italiana, è soprattutto quella del ritorno dell’emergenza-Covid che richiederà l’adozione di nuove e drastiche misure, forse l’obbligo vaccinale e certamente una stretta decisiva contro le manifestazioni no vax.
Da quest’ultimo punto di vista, le parole pronunciate ieri da Sergio Mattarella danno il senso di essere giunti a una svolta: interpretare la vaccinazione di massa come un referendum pro-scienza con la schiacciante vittoria dei Sì Vax porta alla conclusione che, proprio come con i referendum, i perdenti devono prenderne atto e conformarsi alla volontà se non generale certamente ultra-maggioritaria.
Ora basta, sembra dunque dire il Capo dello Stato a chi fomenta le piccole insurrezioni contro la scienza e la salute di tutti. Ma come si potrebbe pretendere disciplina dai cittadini se in questa situazione la classe politica si mettesse a brigare per buttare giù il governo?
E a proposito di Mattarella, ieri per l’ennesima volta ha alluso alla fine del suo mandato. I margini per convincerlo a restare sembrano dunque esaurirsi. È un altra ragione, semmai, per mantenere la stabilità del governo: un duplice avvicendamento nei due principali palazzi del potere sembra altamente sconsigliabile.
Senza contare altre due variabili che dovrebbero suggerire a tutti di tenere la testa sulle spalle: la crescita dell’inflazione, per il momento sotto controllo, e la vicenda di Tim con l’offerta di Kkr sulla quale per il momento palazzo Chigi mantiene un atteggiamento prudentissimo sapendo di dover esercitare un ruolo decisivo in un affare ancora sul nascere. Potrebbe un governo simil-Draghi ma senza Draghi gestire partite così complesse e difficili? Ormai non ci crede nessuno. E tanto più spericolata sembra l’ipotesi di urne a primavera.
Ecco perché, visto che altri non lo facevano, Renzi alla Leopolda ha preso il toro per le corna. E ora si attende che Enrico Letta dichiari chiaramente che Mario Draghi deve restare a palazzo Chigi e quindi tirarlo esplicitamente fuori dalla corrida quirinalizia. Finché non lo farà, tutti si sentiranno liberi di fare giochi e giochetti. Sulla pelle del Paese, naturalmente.