Racconto ineditoFutili motivi

«Hai capito benissimo. Questo non è un brunch», ripeté lei, scandendo le parole. Lui ridacchiò. «Perdonami, se non è un brunch cosa diavolo sarebbe?». Lei riprese a torturare il lembo del tovagliolo. «È un lunch». «Un lunch?», ripeté lui, quasi scandalizzato. Una short story lieve e feroce scritta per Linkiesta da Luca Ricci, autore del romanzo “Gli invernali”, appena uscito per La nave di Teseo

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Questo racconto inedito è stato scritto per Linkiesta da Luca Ricci. Per La nave di Teseo è appena uscito il suo romanzo “Gli invernali”, terzo volume di una tetralogia di cui sono già stati pubblicati, dallo stesso editore, “Gli autunnali” e “Gli estivi”.

Era una coppietta immersa nel sole insolitamente clemente di una tarda mattinata novembrina. Fecero le loro ordinazioni e riconsegnarono i menù al cameriere.
«Un brunch è quel che ci vuole per tornare in palla», fece lui.
Lei afferrò il fazzoletto di carta che aveva sul lato destro del tavolo e cominciò a torturarne un lembo.
«Non è così?», insistette lui. «Non la pensi così anche tu?».
Soltanto allora lei fermò le mani e lo fissò. «Non è un brunch».
«Che cosa?».
«Hai capito benissimo. Questo non è un brunch».
Lui guardò di sfuggita l’orologio al polso. «È quasi mezzogiorno, direi che “brunch” è una definizione che calza a pennello».
«Non è un brunch», ripeté lei, scandendo le parole.
«Che vuol dire che non è un brunch? Cos’è adesso questa assurdità?».
«È un dato di fatto, non è un brunch punto e basta».
Lui ridacchiò. «Punto e basta un cavolo! Perdonami, se non è un brunch cosa diavolo sarebbe? Di sicuro non è una colazione, quella l’abbiamo già fatta in hotel, ti pare?».
«Non c’entra niente la prima colazione».
«Ok, allora spiegamelo tu», disse lui, traendo un lungo sospiro.
Lei riprese a torturare il lembo del tovagliolo. «È un lunch».
«Un lunch?», ripeté lui, quasi scandalizzato.
«Un lunch. Semplice, no?».
Lui cominciò a scrollare la testa, come se quella precisazione fosse stata un affronto personale.
«Che c’è di così difficile da comprendere?», gli chiese lei.
«È quasi mezzogiorno, tecnicamente siamo ancora nella tarda mattinata. Il nostro spuntino è anche una seconda colazione».
«Sì, una seconda colazione senza il caffè o il cappuccino».
«E allora?».
«Cos’hai ordinato?».
«Un toast e un succo d’arancia, e allora?».
«E allora è un lunch e non un brunch».
Lui rimase seriamente a pensarci per qualche secondo prima di avere un’illuminazione. «Ma il caffè lo hai preso tu. Tu hai preso il caffè. È un brunch per causa tua!».
«Accompagno qualsiasi pasto con un caffè, io non faccio testo».
Lui ridacchiò, stavolta in modo più compiaciuto. «Suvvia, questo i dizionari non possono mica saperlo».
«Se togli il mio caffè è un lunch impeccabile».
«Ma il tuo caffè c’è».
«Peraltro potrei contestare che il caffè rimandi necessariamente alla colazione del mattino. È una bevanda che generalmente viene consumata a fine pasto, sia a pranzo che a cena».
«Ma tu hai preso solo il caffè!».
«E della pasticceria secca».
«Appunto!».
«No, frena. La pasticceria secca a voler essere precisi è più da tè delle cinque che da prima colazione. Non ho preso un cornetto ripieno».
«Resta il fatto che questo caffè qui di adesso non segue un pasto, ecco perché rimanda al concetto di colazione mattutina. Soltanto che adesso è quasi mezzogiorno: brunch».
«Oh, ma andiamo! Questo è a tutti gli effetti uno spuntino di tarda mattinata: lunch».
«Peraltro vorrei farti notare che nei paesi anglofoni, da cui abbiamo mutuato queste simpatiche espressioni, senz’altro la spremuta d’arancia è associabile alla colazione».
«Ah, ok. Quindi adesso vuoi dirmi che stiamo facendo colazione tutti e due».
«No, non è una prima colazione. Non sarebbe giusto chiamarla così. È una seconda colazione».
«Quindi tra un’ora tu pranzerai?».
«Sarò sul treno tra un’ora!.
«Appunto! Questa seconda colazione è in realtà sostitutiva del pranzo, è un piccolo pranzo. È consumata in previsione del fatto che oggi non mangerai a pranzo, che salterai il pranzo. Dio, è talmente evidente!».
«È un cazzo di brunch».
«No, ti dico che è un lunch».
Per un po’ sia lui sia lei si zittirono, ognuno valutando attentamente le prossime mosse. In quel silenzio un poco astioso s’intrufolò il cameriere, poggiando sul tavolino la comanda: un toast e una spremuta d’arancia filtrata per lui; un caffè e un piattino di pasticceria secca per lei.
«Per cortesia, ci porta anche due bicchieri di acqua liscia?», chiese lui.
Il cameriere annuì e si allontanò.
«Scommetto che hai ordinato l’acqua soltanto perché così fa più brunch», lo punzecchiò lei.
«Vuoi che ti dia ragione? Se vuoi te la do, sai? Non ho nessun problema a dartela».
Lei versò lo zuccherò nella tazzina e cominciò a girarlo col cucchiaino.
«Sia che sia un brunch sia che sia un lunch, tanto mangerò comunque un toast con una spremuta d’arancia filtrata. E questo è tutto».
Lei rise quasi con amarezza (ma forse era disprezzo). «E questo è tutto».
Lui poggiò il toast sul piatto e cominciò a compulsare velocemente il telefonino.
«Stai googlando?», fece lei.
«Ecco qui, dizionario on line», disse lui, una volta trovata la pagina che gli interessava. «Brunch: pasto consumato nella tarda mattinata, che unisce le caratteristiche di una robusta prima colazione e di un pranzo leggero».
«Ok sulla tarda mattinata ma dov’è la robusta prima colazione?».
«Però è un pranzo leggero. È innegabile che lo sia. Tu stessa con i tuoi sofismi mi avevi obbligato ad ammetterlo».
Lei sbuffò. «Cerca la definizione di lunch».
Lui cominciò immediatamente a digitare sulla tastiera del telefono. «Lunch: seconda colazione, spuntino di mezzogiorno».
«Be’ dimmi tu se non è una definizione perfetta rispetto a quello che vedi in tavola!».
«Diciamo che questa seconda definizione è molto più aleatoria della prima».
«Cioè sappiamo cos’è un brunch ma non cos’è un lunch?».
«Piuttosto direi che sono definizioni che per certi versi si sovrappongono, e che quindi diventano intercambiabili».
«Uhm».
«Cioè il brunch sarebbe un pranzo colazione, mentre il lunch una colazione pranzo? È una follia aver inventato due parole per stabilire una cazzata simile».
Lei parve non volersi arrendere alle spiegazioni di lui. «Secondo me la vera chiave è la quantità. Dalla definizione è evidente che il brunch, qualunque cosa sia, deve essere abbondante, mentre nel lunch, qualunque cosa sia, si consuma meno roba».
«Per me ti stai arrampicando sugli specchi».
Lei rise in modo sguaiato. «Ah, io? Senti da che pulpito».
«Vuoi sapere cosa penso di tutta questa faccenda?».
«Sì, voglio saperlo».
Lui la guardò ma improvvisamente ebbe timore di dire quel che aveva da dire.
«Avanti», lo spronò lei, iniziando anche a gesticolare. «Voglio proprio saperlo. Sapere cosa pensi di tutta questa faccenda!.
A quel punto il cameriere tornò con i bicchieri d’acqua, di fatto interrompendoli. Se ne andò facendo un impercettibile inchino, quasi come a chiedere scusa. Sia lui sia lei per un breve lasso di tempo sembrarono concentrarsi sul cibo. Poi lei s’interruppe e alzò il viso dal tavolino.
«Non la lascerai mai, vero?», gli domandò.
Lui trangugiò a stento una sorsata di spremuta d’arancia. «C’è una figlia di mezzo».
«Non ti ho mai chiesto di smettere di essere un padre, ti ho chiesto di smettere di essere un marito».
«Secondo te io mi diverto?».
«C’è un limite a tutto. Sono quasi tre anni, cazzo».
Nessuno dei due disse più niente. Poco dopo si alzarono e presero direzioni opposte. Non si rividero mai più. Su quel tavolino lasciarono un toast morsicato, una spremuta d’arancia filtrata bevuta per metà, una tazzina di caffè vuota, qualche briciola di pasticceria secca su un piattino e due bicchieri d’acqua liscia colmi fino al bordo.

 

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