La ciambella nazarena è l’unica che può salvare il gruppo dirigente di quel che resta di un Movimento 5 Stelle che Giuseppe Conte non riesce a riportare al centro del dibattito pubblico e della vita politica italiana.
In questi primi mesi di leadership, l’avvocato del populismo ha visto quanto le sue truppe siano in disarmo, non solo perché tanti parlamentari sono andati via ma perché quelli che sono rimasti brancolano non vedendo dinanzi a sé tracce di futuro politico. E dunque Conte sta cercando una sola via d’uscita: il progressivo avvicinamento al Partito democratico. Fino a diventarne una costola, come disse D’Alema a proposito della Lega.
Su questo disegno anche il suo antagonista interno Luigi Di Maio è d’accordo. In ultima analisi è esattamente questo processo di embrassons nous con i dem che ha definitivamente allontanato il personaggio più anti-Pd, Alessandro Di Battista, dal Movimento 5 Stelle, di cui oggi parla come cent’anni fa i comunisti parlavano dei socialisti traditori.
Il Movimento è dunque in movimento verso un Enrico Letta da parte sua ben contento di aprire le porte – politiche, non (adesso) organizzative – ai contiani, primo e forse ultimo step del cosiddetto Nuovo Ulivo. L’alleanza strategica potrebbe diventare un matrimonio riparatore.
Strategica, invece, è la ritirata dei grillini, nati tra le altre cose per distruggere il primato del Partito democratico sul centrosinistra e finiti per accomodarsi nella sala d’aspetto del Nazareno. Ma effettivamente è l’unico modo per garantirsi un posto al sole, in un Parlamento che è stato tranciato di netto proprio dalla loro riduzione del numero dei componenti.
Però servono tre cose: la sostanziale fusione politica – non tecnica perché due brand funzionano meglio di uno – con i dem; un po’ di tempo per far maturare questo processo (anche per questo Conte ora vorrebbe Draghi ancora a palazzo Chigi); la sostituzione dei vecchi slogan propagandistici con una nuova attenzione a proposte concrete, magari portate avanti dalla generazione più giovane.
Dice a Linkiesta Luca Carabetta, 30 anni: «Parlate di noi solo per le nostre parole d’ordine di dieci anni fa, ma siamo cambiati, ci sono decine di nostre proposte di legge sull’economia, la transizione ecologica, le infrastrutture, la ricerca: io lavoro nelle imprese innovative con tanti ragazzi ma mi rendo conto che di noi si parla solo delle cose del passato».
Siamo già ai post-dimaiani, una generazione che con il Partito democratico non ha i problemi persino “di pelle” di quelli della prima ora e che punta a far diventare la creatura inventata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio una sorta di partito “verde” di dimensioni inevitabilmente più ridotte ma tali da consentirgli la sopravvivenza all’ombra di un Partito democratico totalmente de-renzizzato.
Su questo nuovo mood Conte e lo stesso Di Maio lavorano molto. A partire dai grillini europei: è a Bruxelles che il “grande abbraccio” sta andando in scena, pur tra le resistenze di alcuni europarlamentari dem (che oggi vedranno Letta).
Il processo è in atto e ha già determinato la presa di posizione di Carlo Calenda, pronto a uscire dal gruppo socialista se vi entreranno i Cinquestelle e ad entrare nel gruppo macroniano Renew Europe dove già siede l’ex Partito democratico Sandro Gozi. Lo stesso processo dovrebbe concludersi entro l’anno con l’ingresso degli 8 pentastellati (da 14 che erano) nel gruppo dei socialisti e democratici di cui fa parte il Partito democratico, da parte sua ben contento di aumentare il peso specifico del gruppo S&D che da gennaio dovrà trattare sulle poltrone dell’Europarlamento.
Non sarà una grande strategia, non ci sono state Bad Godesberg né Bolognine ma tant’è: da Bibbiano a Bruxelles il tragitto è stato meno impervio del previsto.
Il passaggio successivo riguarda, come ormai tutto quanto in questa fase, la partita per il Quirinale. Letta e Conte (come sempre briffato da Goffredo Bettini, ormai suo coach indispensabile) intendono muoversi come un sol uomo, costituendo così un bel pacchetto di mischia non solo determinante ma potenzialmente in grado di avanzare un nome forte fin dalle prime votazioni.
Conte spera che la disciplina tra i suoi sbandati scatti in vista dell’abbraccio con il Partito democratico che potrebbe accendere per molti la speranza di rielezione. Si tratterebbe poi nel 2022 di stringere ulteriormente i bulloni in vista delle politiche dell’anno successivo, quando questo Fronte popolare in formato bonsai, magari allargato ad altri cespugli, tenterà di battere la destra. Tanti auguri.