OmbreTra un bacaro e un cicheto

Il rito del soft drink pre-cena accompagnato da stuzzichini è un trend tutto italiano. C’è però una città maestra nell’arte degli aperitivi, dove è quasi impossibile sorseggiare uno spritz senza ordinare qualche cicheto tipico. I bacari veneziani hanno conquistato il mondo, ma è a Venezia che conservano tutta la loro magia

Entrare in un bacaro, ordinare un’ombra e farsi qualche cicheto e quatro ciacoe. A qualsiasi ora del giorno, dal mattino all’aperitivo e perché no, anche a pranzo o a cena. Antiche usanze popolari veneziane che risalgono al 1200 e che dietro ogni nome nascondono una storia. Perché il bacaro, o bacareto, non è semplicemente un bar, ma fa riferimento, forse, a Bacco, il dio romano del vino, o forse a “far bàcara”, espressione veneziana per “festeggiare”. E si dice “ombra” perché i bacari erano un tempo i vignaioli e i vinai che arrivavano in città con un barile di vino da vendere in Piazza San Marco, dove aveva sede la dogana. Il bicchiere di vino si chiamava “ómbra”, perché i venditori delle botteghe alla base del campanile della basilica ne seguivano l’ombra per proteggere il loro banchetto dal sole. E i cicheti, da “ciccus”, termine latino che significa “piccola quantità”, erano e sono spuntini che spaziano in tutta la (vasta) gamma della cucina veneziana.

Ora questi termini sono diventati patrimonio del turismo internazionale, a Londra “Cicchetti” è diventato, oltre che il nome proprio di diversi locali, un sinonimo di aperitivo e i bacari si trovano anche a Milano, dal Tascaro, o in via Montenapoleone, mentre all’“ombra” (di vino rosso, se no sarebbe un “biancheto”), spesso si preferisce lo spritz. Che non è più il vino bianco allungato con seltz di austroungarica memoria ma un cocktail ufficiale della IBA, variamente declinato e interpretato, con Aperol, Campari, Cynar, China Martini in aggiunta al prosecco e al seltz, e presente persino nelle insolite versioni Hugo, con liquore al sambuco e menta fresca, e con la birra al posto del prosecco. Se però volete quello veramente veneziano doc dev’essere preparato con il Select, un bitter nato in una distilleria del sestiere di Castello nel 1920.

Ma fare il tour dei bacari, un modo relativamente economico, almeno per i parametri veneziani, di mangiare e bere bene girando le zone più caratteristiche della città, non è facile, perché se, come cantava Francesco Guccini “San Marco è senz’altro anche il nome di una pizzeria”, a Venezia quasi ogni bar si è travestito da bacaro e pubblicizza spritz e cicchetti dove vale tutto, dal banale e un po’ tristo abbinamento arachidi e patatine alle sontuose apericene.

Intanto ci sono precise regole visuali. Il bacaro ha da essere piccolo, con pochi posti a sedere e un grande bancone di legno corredato di sgabelli e di vetrine in cui vengono esposti i cicheti. Si ordina a vista e a pezzo, da uno solo a un piatto pieno da condividere. Le posate non sono previste e nemmeno necessarie, si mangia con le mani, anche perché tutto viene presentato su una fetta di pane o di polenta fritta. La scelta è la più ampia e varia anche secondo i giorni, le materie prime disponibili e la creatività del gestore, ma non dovrebbero mai mancare: sarde in saor, baccalà mantecato su crostini di polenta o di pane, polpettine di carne o di tonno, fondi di carciofo, mozzarelle in carrozza, uova sode, frittatine di verdure, folpetti in umido, alici marinate, soppressa con una fettina di polenta. I bacari si trovano un po’ dappertutto, ma per scovare i più belli e autentici vale la regola che impera a Venezia, svoltare l’angolo e inoltrarsi nelle calli, per lo più deserte, che si trovano ai ridosso degli affollati e consueti percorsi turistici.

Come Salizada de le Gatte, nel sestiere di Castello. Vicino c’è San Marco e quell’altra meraviglia assai meno nota della Scuola Dàlmata dei Santi Giorgio e Trifone, una delle uniche due – insieme alla Scuola Grande di San Rocco , ad essere tuttora attiva, che ospita un fastoso ciclo pittorico di Vittore Carpaccio. Dopo averla visitata, l’Osteria A La Scuela offre una scelta di ottimi vini di piccoli produttori del Triveneto e un bancone di cicheti soprattutto, ma non solo, a base di pesce, dalle seppie alla griglia a quelle in nero, dal baccalà fritto con i fiori di zucca a quello servito con crostini. Pochi tavoli, con la possibilità di ordinare anche una ristretta ma valida offerta di primi piatti del giorno, come le pappardelle alla burranella con capesante, in compagnia dei clienti fissi, per lo più veneziani della zona.


Poco lontano, in campo San Provolo, vicino alla chiesa di San Zaccaria, il Bacaro Risorto è più da turisti e da studenti, ma merita per l’allegria e la proposta sempre diversa di cicheti, panini, vino, aperitivi e birra. Stessa gestione e stesso spirito per il locale omonimo di Cannaregio, 4467, Drio la Chiesa. Restando a Castello, e considerando, fuori dal tema dei bacari ma ben ricompreso in quello del buon cibo, anche un classico tempio della cucina veneziana come la trattoria Da Remigio, – granseole, capesante, gamberi e scampi crudi, zuppe di pesce, tutto freschissimo e servito con garbo – merita una sosta l’osteria alla Rampa, un piccolo bacaro senza pretese, semplice, diretto, autentico, con un ottimo spritz, a Salizada S. Antonin, vicino all’Arsenale.

Trovare l’osteria al Portego, in Calle De la Malvasia, è una piccola caccia al tesoro perché, a seconda del punto di partenza, arrivarci può essere banale o richiedere lunghi giri fra calli strette e mai notate prima. In realtà è a due passi da Campo San Lio, tappa obbligata del percorso standard di Venezia, dalla stazione a piazza San Marco e non lontano dalla storica libreria Acqua alta, recentemente riaperta dopo essere stata letteralmente sommersa dall’onda di marea che aveva travolto Venezia nel novembre 2019.


Trovarla vuota invece è semplicemente impossibile, perché come bacaro è frequentatissima soprattutto da ragazzi e studenti e come ristorante offre pochi, pochissimi tavoli. Quindi quest’ultima opzione richiede di programmare per tempo, senza farsi troppe speranze nel fine settimana. Se si conquista uno dei piccoli tavoli di legno però, merita senz’altro ordinare, se sono in menù, i migliori bigoli in salsa della città. Un piatto povero della tradizione che richiede però ingredienti specifici perché i bigoli “sembrano” spaghetti ma sono più grandi, hanno una superficie più ruvida, sono lavorati al torchio e rigorosamente all’uovo mentre la salsa” si fa con cipolle, sardine e olio ma, come la quasi analoga bagna cauda pimontese, dove al posto delle cipolle si usa l’aglio, ha i suoi segreti e non è banale come sembra.

Il Portego, però è perfetto in qualsiasi momento se si vuole “andar per bacari” perché ha un bancone di cicchetti ricchissimo per varietà e combinazioni, che cambia ogni giorno.
In piena vista, in un angolo del Rio della Maddalena, all’imbocco del ponte S. Antonio, e quindi lungo il passaggio classico dei turisti: sulla carta la Cantina Vecia Carbonera non promette bene, ma è in effetti uno dei bacari più suggestivi della città, oltre ad essere molto più grande di quello che si potrebbe immaginare dalla minuscola vetrina d’ingresso affiancata da una botte e una lavagnetta. Infatti, all’interno, oltre il piccolo banco mescita, si apre una serie di stanze molto caratteristiche, con vecchi tavoli in legno, mensole piene di bottiglie, targhe pubblicitarie d’epoca, stampe a tema nautico e botti a non finire. Al banco vini di qualità e cicchetti classici con qualche variante inedita come gli abbinamenti porro e gorgonzola, radicchio e gamberetti, manzo e peperone piccante e frittata alle erbe.

Ma usciti da lì conviene abbandonare la folla, svoltare alla prima occasione e inoltrarsi nel sestiere di Cannaregio per una visita alla zona del Ghetto che accanto alle sinagoghe, al museo ebraico e alla pace e alla bellezza di campo del Ghetto nuovo propone un popolare ed economico ristorante kasher, il Gam Gam, che d’estate propone anche tavoli all’aperto lungo il canale di Cannareggio.  Molto frequentato da ortodossi e turisti israeliani è una variante del bacaro classico che offre mezè e vini israeliani ma anche ristorante con piatti originali e sfiziosi come i carciofi fritti con la tahina e ottimi latkes di patate con composta di mele.

Subito dietro il Ghetto, lungo le fondamenta della Misericordia, tra i mille bar e baretti e ristoranti, tutti mediamente di buon livello, c’è infine un luogo di ritrovo storico di Venezia, caro agli autoctoni come ai turisti che è riuscito, incredibilmente, a mantenere la sua autencità. Bacaro, ristorante, jazz club, il Paradiso Perduto accoglie con brusca cordialità veneziani e foresti con un enorme bancone di cicchetti assortiti, piccoli panini, verdure grigliate e pesce in ogni declinazione e un bel calendario di concerti live.

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