Liz e i suoi fratelliÈ iniziato il casting tra i politici conservatori per sostituire Boris Johnson

Il premier fiaccato dagli scandali e dalla gestione inefficiente della pandemia potrebbe veder presto contesa la leadership del suo partito dal ministro delle Finanze Rishi Sunak o dalla ministra degli Esteri Liz Truss, definita dal Times «la più potente donna in politica»

LaPresse

Lo stato di salute di un leader si misura (anche) dal numero dei candidati a prendere il suo posto. Nel caso del primo ministro britannico Boris Johnson, una parte – crescente – del suo partito pensa che defenestrarlo permetterebbe di risolvere i problemi di consenso. Tra i conservatori è cominciato una specie di casting interno, chi ci crede di più è la ministra degli Esteri, Liz Truss. Spesso le autocandidature finiscono bruciate, ma oggi sono tanti, anche nell’esecutivo, quelli pronti ad approfittare della crisi del sistema di potere di Johnson. 

Con i parlamentari già divisi sulle restrizioni contro i contagi in salita, gli scandali hanno incrinato l’ascendente elettorale del premier. L’ultimo caso, con ulteriore cedimento nei sondaggi, per le foto, uscite a dicembre, di un aperitivo en plen air del maggio 2020, in pieno lockdown, spacciato dal governo per una «riunione lavorativa». Il dibattito sulla successione sarebbe virtuale se non fossero in bilico i due punti cardine dell’«assicurazione sulla vita» del primo ministro: i voti e un carisma impermeabile a errori che sarebbero costati la carriera a un altro politico. La base sembra stufa di perdonarlo. 

Ma, soprattutto, dalle rilevazioni non emerge soltanto il sorpasso dei laburisti, che sognano la rivalsa sui Tories dopo dieci anni nell’ombra: se si votasse oggi, il partito si salverebbe dalla disfatta solo se a guidarlo non fosse Johnson, che perderebbe persino nel suo collegio di Uxbridge & South Ruislip. Tradotto: con un altro, o un’altra, leader i conservatori si difenderebbero meglio alle urne. Un deficit, quello dell’attuale capo, che le proiezioni stimano in sessanta seggi. Una ventina meno della maggioranza conquistata da Boris nel 2019. Il suo effetto, o presunto «magic touch», pare già rientrato. I potentati del partito sono molto attenti a dati come questi. 

La corsa è reale. I favoriti sono due: un po’ perché le loro campagne stanno già iniziando a muoversi, anche se sottotraccia, un po’ perché riscontrano il maggior apprezzamento tra gli iscritti. Sono, appunto, Liz Truss e il ministro delle Finanze, Rishi Sunak. Truss è al governo dal 2014, è la ministra di più lungo corso. Ha esordito come titolare dell’Ambiente con David Cameron, ha attraversato senza contraccolpi anche la stagione di Theresa May e ha appena ricevuto l’altamente simbolica delega alla Brexit dopo le dimissioni di lord Frost. «Remainer» ai tempi del referendum, ha sposato il progetto della Global Britain e si è costruita credito anche tra i favorevoli all’uscita dall’Ue. Nel suo ritratto, il Times l’ha definita «la più potente donna in politica». 

 

Sunak ha avuto una carriera lampo: eletto in parlamento nel 2015 nel collegio di Richmond, nello Yorkshire, è entrato nell’esecutivo nel rimpasto del febbraio 2020 come Cancelliere dello Scacchiere. A un mese dall’incarico, si è trovato a ricoprire una casella delicata all’apice della pandemia, con Johnson prima a mezzo servizio dopo aver contratto il coronavirus e poi in terapia intensiva. I 430 miliardi di sterline di fondi pubblici per la ripresa lo hanno reso un volto familiare nelle case degli inglesi. L’aumento della pressione fiscale, tornata ai livelli degli anni Ottanta, gli ha però alienato parte della base. Gli equilibrismi sul budget e la sobrietà istituzionale lo hanno finora premiato con una reputazione di affidabilità. 

A differenza di Truss, che può contare su una stringata pattuglia a Westminster, da outsider Sunak non ha fedelissimi, né particolari sostenitori in parlamento. È la massa critica che servirebbe per disarcionare Johnson. Sul lungo periodo, però, la patina da «indipendente» potrebbe ripagarlo. Per sfiduciare un premier, serve infatti che la mozione sia sottoscritta almeno dal 15% dei deputati conservatori. Ciò fissa il quorum a 54 firme. A quel punto, una votazione a maggioranza semplice si esprime sul leader. Se sconfitto, si apre il congresso. In una serie di altri voti, i parlamentari scremano i candidati finché non ne restano soltanto due: a quel punto sono i membri del partito a venire coinvolti nella scelta del vincitore, o della vincitrice. 

Un sito molto ascoltato nell’area è ConservativeHome. Nei suoi sondaggi sul dopo-Johnson, c’è in testa Truss, col 23%. Sunak è secondo, al 20%. Ad agosto, prima degli scandali, i loro rapporti di forza erano invertiti: Sunak primo al 30%, Truss staccata al 12%. In base alle rilevazioni di Opinium citate prima, però, anche con Truss al vertice i conservatori accuserebbero una contrazione alle urne, di meno 40 seggi; con Sunak, invece, sarebbe minimo il distacco dai laburisti (tre punti percentuali).

È fantapolitica, per ora. Entrambi si contendono la stessa parte della base: tradizionale, liberale e liberista, a favore di un governo poco invasivo. Quella, per capirci, che è inorridita davanti agli scandali del primo ministro. Ma questo difetto congenito potrebbe azzoppare la loro candidatura, aprendo spazio per altri nomi. Tra chi di recente ha cominciato a raccogliere fondi figurano l’attuale ministro della Salute Sajid Javid, silurato da Johnson nel rimpasto di inizio 2020 e richiamato dopo la caduta di Matt Hancock, e i titolari di Educazione e Commercio, rispettivamente Nadhim Zahawi e Penny Mordaunt. Un altro papabile è Jeremy Hunt, che nel 2019 fu battuto proprio da Johnson (66,4% a 33,6%).

Nei primi mesi del 2022, il premier cercherà di salvarsi con un colpo di coda. Tre obiettivi concreti potrebbero essere il rientro dei contagi, nuove promesse di riforme e crescita economica. Va detto che, per un esecutivo in carica, l’impopolarità è quasi fisiologica. Era capitato, e prima, anche ai precedenti inquilini di Downing Street. Gli analisti concordano sul fatto che Johnson non incarni il conservatorismo tradizionale, ma ciò è stato un «di più» in termini elettorali. Chi verrà dopo di lui dovrà affrontare una doppia sfida: riconquistare i «vecchi» elettori, certo, ma soprattutto non perdere i «nuovi», quelli grazie a cui sono stati espugnati numerosi feudi dei laburisti. Non sarebbe un’eredità semplice. In questo momento, nessuno vuole essere Boris Johnson. 

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