La televisione ha senso solo se è orrenda. Lo dico senza voler rompere il giocattolo a tutti quelli che hanno deciso di posizionarsi dalla parte della tv buona, della tv giusta, della tv beneducata, della tv colta, della tv che non invita chi non si fida della scienza (esiste una frase più antiscientifica di «mi fido della scienza»?).
Peraltro il giocattolo l’hanno già rotto gli antivaccinari colti, quelli che ti citano la saggistica invece di fare gli status coi puntesclamativi su Facebook. «A differenza della plebaglia no-vax, sono un no-vax colto e raffinatissimo», diceva sabato scorso su Repubblica il personaggio della vignetta di Altan, uno sul quale si può sempre contare per sintetizzare lo spirito del tempo.
La televisione ha senso solo se è orrenda sempre, ma specialmente in questo biennio monotematico in cui la pandemia ha fornito alla tv italiana, già non esattamente ricchissima di idee, la scusa perfettissima per non farsi venire un’idea per nessuna ragione mai: riempiamo la tv di conversazioni sempre uguali sui contagi, i vaccini, i bambini, la scuola, l’rt, le varianti, la rava, la fava.
«La gente li guarda», ti rispondono se provi a far presente che è un palinsesto da orchite. Di tutte le diramazioni classiste, quella che nessuno studia è quella per la quale al porocristo privo di vita interiore e d’interessi intellettuali, una volta tenuto in casa dalla pandemia o dall’inverno, tocca farsi andar bene dei talk-show da morire di noia, e la sua rassegnazione viene pure presa per consenso entusiasta.
La televisione ha senso solo se è orrenda, e infatti martedì Bianca Berlinguer l’ha vista una media d’un milione e quattrocentomila spettatori, mentre di solito il programma è intorno al milione. Cosa ha attratto il pubblico che martedì sera era davanti al televisore? Quei venti minuti in cui, probabilmente grazie al messaggio d’un nipote che incitava «nonno, cambia, c’è la rissa», gli italiani hanno cambiato canale, quei venti minuti sono gli stessi dei quali ci si scambiavano informazioni carbonare nella notte tra gente che non era davanti alla tele ma pure aveva ricevuto messaggi, e per i quali io sono corsa a recuperare la puntata su RaiPlay ieri mattina.
Il blocco (gergo televisivo per: quella parte di programma) era così concepito. In studio, la conduttrice, un giornalista dalla parte dei buoni (vestito con una giacca che poteva essere di Margiela e che appariva del tutto incongrua rispetto all’ambiente da Gai Mattiolo), e un ex consigliere Rai in quota agli antivaccinari colti. Collegati, una donna incinta che testimoniava il proprio eroico essersi vaccinata, un giornalista dalla parte dei picchiatelli, il presidente della regione Emilia Romagna, e Antonio Caprarica, a lungo corrispondente da Londra della Rai.
Si parte subito bene, con la conduttrice che parla delle «donne incinta»; perfettissima televisione, se chi è pagato per lavorare con le parole non ha imparato in decenni di mestiere e licenza elementare che il plurale è «incinte»: è per sentir parlare come nelle pagine Facebook di mamme analfabete che accendiamo, mica per sentir declamare le tesi di Wittenberg.
La prima parte di questo zoo di vetro si svolge con le dinamiche consuete: parlano solo gli ospiti in studio, e i collegamenti vengono trascurati. Anche perché in studio principia una rissa non male in cui si confrontano il delirio dell’ex consigliere d’amministrazione che dice che lui s’è fatto venire un infarto per la Rai (dopo i delitti passionali, le cartelle cliniche passionali), e quello del giornalista che lo aggredisce, «non sa niente di scienza, cosa ti può dire, questo è uno che non sa dov’è adesso» (e quell’altro: «ma come ti permetti, ma io ti denuncio, ma sei uno stupido»).
La povera Berlinguer fatica un po’ a coinvolgere i collegamenti, mentre in studio volano meraviglie quali «nano» e «bollito» (la seconda media non finisce mai, non finisce mai, non finisce mai mai mai). Quando però riesce a far parlare i collegati, arriva la meraviglia vera.
L’ex consigliere d’amministrazione legge da dei fogli (che poi mostrerà con gesto saperlalunghista alla telecamera) cose tipo il numero dei morti per fumo, Caprarica dal collegamento prova a interromperlo, e quello: «Caprarica, io di lei mi ricordo le note spese, quindi stia buono».
Seguono minuti in cui: la Berlinguer urla «è inaccettabile»; l’ex consigliere urla «i dati!»; il giornalista in studio urla «per capire l’emergenza basta guardare te, buffone»; Caprarica continua a cercare di riprendere la parola; la Berlinguer prima dice «non m’interessa niente di chi muore di fumo», poi si ricorda di vivere nella dittatura della decontestualizzazione e corregge «cioè, m’interessa molto» (erano già pronti i meme scandalizzati per il disinteresse per i morti per fumo); l’ex consigliere d’amministrazione decide di fare il gran gesto d’abbandonare lo studio (non c’è niente di più televisivo che abbandonare uno studio televisivo a telecamere accese) ma si dirige dalla parte sbagliata mentre la Berlinguer continua a urlare «deve uscire dall’altra parte»; Caprarica riesce a riprendere la parola per dire «questo signore che ha rovinato la Rai» (addirittura, e io che lo credevo un carneade) e «vi annuncio che io lo denuncio, e chiedo che la Rai prenda le distanze da miserabili di questa fatta» (ho un debole per quelli che quando perdono la pazienza parlano come Cyrano de Bergerac).
Insomma, sono stati venti minuti di ottimissima televisione, dopo i quali ognuno continuerà a ritenere di saperla lunghissima: noi che abbiamo deciso di fidarci delle convinzioni più diffuse nella comunità scientifica, e quelli che pensano «a me non mi fregano». E dopo i quali anche i più ottusi avranno capito che il punto non è se si possa o no urlare «al fuoco!» in un teatro pieno (l’esempio più abusato degli ultimi due anni), o se si debba, come ripeteva la povera Berlinguer, «dar voce a tutti». Il punto è che la tv non deve educarci: deve intrattenerci. Smettiamola di far finta che andare in un talk sulla pandemia sia un lavoro diverso da quello che fa chi va a Uomini e donne. Piuttosto, cari intellettuali che andate in quella tv che ha pretese di serietà, cercate di imparare il mestiere da Tina Cipollari.