È contento di partecipare a questo esperimento inedito di democrazia, ma non nasconde la preoccupazione che alle buone intenzioni possano non seguire risultati concreti. Paolo Barone, cosentino classe 1998, è uno dei 200 cittadini del secondo Citizens’ Panel della Conferenza sul Futuro dell’Europa ed è stato sorteggiato fra gli 80 delegati che rappresentano la cittadinanza alle sessioni Plenarie. Le sue sensazioni, sull’intero evento, sono contrastanti.
Hai avuto più impressioni positive o negative durante l’ultimo incontro?
Rispetto alle due riunioni precedenti, quella a Strasburgo e quella online, le cose sono andate meglio durante la sessione di Firenze. È come se noi cittadini avessimo già rotto il ghiaccio e fossimo più pronti a discutere nel dettaglio i contenuti. L’organizzazione è stata ottimale, a parte qualche piccolo problema di interpretazione, e poi c’è stata un’attenzione mediatica maggiore: più giornalisti, televisioni nazionali, un interesse costante. Ho la netta sensazione che stiamo cominciando a farci conoscere da un numero sempre maggiore di persone in Europa: la Conferenza, insomma, sta prendendo piede.
Hai partecipato finora a tre incontri più una sessione Plenaria, qual è il giudizio complessivo?
Nel complesso sono soddisfatto del livello della discussione. Per quanto mi riguarda, mi trovo meglio nei gruppi ristretti di lavoro, piuttosto che nelle sessioni collettive, quando molte persone fingono di ascoltare. Essendo molti di meno, nei gruppi c’è un confronto reale.
A Firenze Il tuo Panel ha formulato 39 proposte specifiche. Pensi che i politici le ascolteranno?
Sono convinto che i politici ci dovranno ascoltare per forza. Il punto è vedere se le raccomandazioni che abbiamo espresso verranno prese in considerazione, che è una cosa ben divers diversa dal semplice ascolto. Se così non fosse, sarà un flop per le istituzioni europee: questa Conferenza è stata organizzata per coinvolgere persone comuni di ogni Stato membro e chi partecipa sottrae giorni al proprio lavoro o tempo libero. Io sono uno di quei cittadini che teme che la Conferenza possa alla fine essere un progetto fine a sé stesso: se alla fine di questo ciclo di incontri non dovesse uscire nulla di concreto dal progetto, sarebbe, a parer mio, uno scandalo.
Cosa ti aspetti dalla prossima sessione Plenaria?
La Plenaria che si terrà a gennaio sarà un momento cruciale, perché permetterà di capire se la Conferenza può essere o meno un punto di svolta. Del resto si tratta di una cosa che non era mai accaduta prima nella storia dell’Unione europea. Non vedo l’ora di rappresentare i cittadini in questa discussione e di sottoporre i 39 punti approvati dal mio Panel all’attenzione di eurodeputati e ministri. Sarà un bel momento di confronto.
Al di là degli esiti, come valuti finora la tua partecipazione?
Per me rimane un’ottima esperienza, in cui ho imparato cose nuove, conosciuto persone provenienti da tanti posti diversi, con tradizioni e culture differenti dalla mia. Continuo a pensare che sia un onore intervenire al Parlamento europeo, mi sento fortunato a essere parte del progetto: quando ho ricevuto la chiamata, infatti, ho colto al volo l’occasione. E non mi sono pentito, credo nella Conferenza e mi impegnerò al massimo per la sua riuscita, se necessario mettendo per un attimo da parte altri miei impegni.
In cosa potrebbe migliorare la Conferenza?
Forse è un discorso un po’ egoistico, ma ritengo che sarebbe stato meglio riservare questo evento soltanto a noi giovani. La Conferenza riguarda il futuro dell’Europa ed è chiaro che saranno le generazioni più giovani a subire le conseguenze delle decisioni che vengono prese oggi.
Ci sono argomenti che ti stanno particolarmente a cuore e che vorresti fossero discussi nei lavori della Conferenza?
L’uguaglianza, la democrazia e le opportunità per i giovani sono i temi per me più importanti. Poi merita un discorso a parte il problema dell’educazione europea. Io stesso mi sento poco preparato sui macro-argomenti che si trattano nel mio Panel, dai valori allo Stato di diritto. Penso che servirebbe insegnare queste materie a scuola, che la politica e l’Europa andrebbero studiate fin da piccoli e che la nostra società ha bisogno di una maggiore informazione su questi temi. Nessuno può essere considerato «colpevole» se oggi ha qualche lacuna: in fin dei conti alla Conferenza partecipano cittadini comuni estratti a sorte e fra noi ci sono laureati, diplomati, persone di diverso grado di istruzione o formazione culturale.