InscalfibileIl serafico Draghi non chiude la porta al Quirinale ma chiede continuità per il suo governo

Nella conferenza stampa di fine anno, il premier non ha escluso e non può escludere nulla, non si candida né si tira fuori. Aspetta che i partiti decidano che cosa fare

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La seraficità. Questo ha colpito della postura di Mario Draghi, postura in senso intellettuale – chiariamo – come se non fosse l’uomo che sta guidando un Paese nuovamente nervosissimo in un Natale con poche luci (certo meglio del precedente che era proprio senza luci) e che conta più di 100 morti al giorno e un numero spropositato di contagi.

Il presidente del Consiglio ha incontrato ieri i giornalisti per la conferenza stampa di fine anno, stendendoli ad ogni risposta – e quando ci casca nei trabocchetti, uno così – munito di argomenti e buon umore, non nel senso della paciosità di un Romano Prodi ma in quello della piena consapevolezza della propria forza.

Persino quei cinici dei giornalisti, sempre pronti a sbeffeggiare i politici ad ogni latitudine, sono apparsi se non in soggezione certo in religioso rispetto per il conferenziere, come studenti alla prima lezione d’università, tributandogli persino un applauso finale che non ricordiamo in altre simili occasioni.

La forza di Draghi sta nelle cose fatte. Il premier si è molto diffuso sulla lotta alla pandemia e sulla ripresa economica presentando un bilancio talmente positivo dell’azione del governo che sembrava come quando il cowboy soffia sulla pistola dopo aver centrato l’obiettivo, dando persino l’impressione che volesse lanciare un messaggio neanche tanto subliminale: obiettivo raggiunto (i 51 obiettivi del Pnrr effettivamente raggiunti come grande metafora). Ma la domanda in fondo era una sola: ci va al Quirinale o no?

Draghi ha seminato una certa quantità di indizi che non possono essere letti univocamente perché ogni risposta conteneva il suo contrario e nell’aria volteggiavano i “se” e i “purché”. Ma il senso delle sua parole se abbiamo ben compreso è tutto nella vera e propria sfida ai partiti che egli ieri ha lanciato, ributtando la palla di là, con la seraficità, appunto, del civil servant che non sgomita e al tempo stesso non si sottrae come si conviene appunto agli uomini di Stato.

Draghi, autodefinitosi «nonno delle istituzioni», non esclude e non può escludere nulla, non si candida (anche perché è una modalità che per il Colle non esiste, Berlusconi a parte) né si tira fuori: aspetta che il Parlamento, cioè i partiti, lo chiamino, se vorranno.

E sono abbastanza chiare, sullo sfondo, due condizioni. È qui la sfida ai partiti della maggioranza: siete in grado di eleggere subito il Presidente senza spaccature, altrimenti il governo non reggerebbe? E, secondo, siete capaci di garantire che in ogni caso la legislatura vada avanti fino al 2023 con la stessa maggioranza (o addirittura «più larga», saranno fischiate le orecchie alla Meloni)?

Sono condizioni pesantissime per un sistema dei partiti sfibrato dai tatticismi e dalla sfiducia di tutti verso tutti. Certo, il monito draghiano ad andare avanti fino al 2023 è miele per i parlamentari che temono di dover andare a casa prima del tempo. Paradossalmente dunque si potrebbe aprire un toto-premier: chi sarebbe in grado di sedersi sulla poltrona di SuperMario e condurre il governo (fotocopia ma appunto senza Draghi, come un’Olanda senza Cruijff, un Napoli senza Maradona) fino al elezioni del 2023?

L’ipotesi più accreditata è quella di Marta Cartabia, che conterebbe sull’appoggio di Draghi e Mattarella, cioè Presidente ed ex Presidente della Repubblica, le personalità più forti della storia politica recente, in grado di “coprirla” in Italia e in Europa.

Il premier dunque oggi ha seraficamente detto: io ci sono, sta ai partiti costruire un patto a due stadi nel segno della continuità politica: ne saranno capaci? Questo Draghi non l’ha detto, ovviamente. Ma la seraficità è un buon indizio della sua fiducia a che la palla vada in buca. Oggi sembra lui l’uomo da battere, come si dice nel calcio: solo che questa partita ha mille insidie e i giochi sono tutt’altro che fatti.

E le parole di Draghi, lisce come l’acqua di fonte, mettono ancora di più in crisi partiti che non sanno bene come muoversi e che hanno paura di giocarsi molto della loro credibilità. Il “nonno” tutto questo lo sa, ha parlato e ora aspetta le mosse degli altri. Seraficamente.

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