Covid politicsL’infodemia e l’immaturità di raccontare la crisi come una guerra contro il virus

Tranne alcune lodevoli eccezioni, stampa e tv hanno cercato il capro espiatorio fin dal primo giorno della pandemia, trasformando la cronaca di una emergenza sanitaria in uno scontro tra fazioni in cui ogni mezzo mediatico è lecito, tra infotainment e fiancheggiamento politico

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In questi due anni, il ruolo giocato dell’informazione italiana – carta stampata e tv, in primo luogo – per documentare e accompagnare il racconto politico della pandemia è stato tanto decisivo, quanto inutile e tanto centrale, quanto subalterno. 

Decisivo per infiammare lo scontro tra fazioni, inutile per aiutare la comprensione di un fenomeno complesso. Centrale nel day by day di un’Italia assiepata davanti alle tv o ai pc, in preda ad angosce e illusioni irrazionali e subalterna alle verità di comodo o a quelle ufficiali. Un’informazione un po’ prefettizia e un po’ sediziosa, un po’ servizio d’ordine e un po’ agente del caos, ma comunque a rimorchio della Covid politics.

Quando Mario Monti, con il candore e l’onestà spericolata che lo caratterizza e che sta alla base delle sue fortune e delle sue sfortune, ha detto che del Covid non possiamo dire tutto quello che sappiamo e che non sappiamo, ma dobbiamo congegnare un dosaggio conveniente delle notizie, più che descrivere un programma di asservimento della libera stampa agli interessi del potere politico, ha forse inconsapevolmente descritto l’arruolamento volontario del sistema dell’informazione in una guerra, che ciascuno ha interpretato secondo le proprie predilezioni e idiosincrasie, ma quasi tutti hanno trasformato in una attività di comunicazione post-giornalistica, per non dire puramente propagandistica. Con un senso della (chiamiamola così) missione che ha ampiamente sopravanzato quello della professione. 

Quella sorta di lockdown giornalistico che Monti evoca contro l’infodemia (con le stesse caratteristiche di eccezionalità già previste per il lockdown antipandemico) in Italia è stato fin dall’inizio il criterio dell’autogoverno patriottico di giornali e tv. Non è servita neppure la censura, è bastata ampiamente l’autocensura. Fin dall’inizio era difficile trovare una testata, una trasmissione, un anchorman/woman che si prefiggesse l’obiettivo di informare sulla pandemia e sui risultati delle politiche di contrasto e che non si ponesse il problema politico di guidare o sobillare il popolo, per suscitarne l’obbedienza o l’ammutinamento ai capitani della nave. Dacché la linea del fronte è diventata quella dei vaccini, è praticamente impossibile trovare un giornale, una trasmissione o un personaggio tv che non sembri una banda militare impegnata a intonare una marcia patriottica o un manipolo di resistenti che canta a squarciagola “Bella Ciao”.

La stampa italiana del resto è stata spaccata fin dall’inizio sul nome del/i colpevole/i della pandemia, ma è rimasta sempre unita dall’idea che il colpevole o i colpevoli vi fossero e che andassero scovati e additati al pubblico ludibrio.

I giornalisti (con pochissime eccezioni tra i più visibili ed esposti) si sono comportati per eccesso di zelo morale, e difetto di zelo deontologico, come se il fenomeno pandemico non avesse una propria storia naturale, ma fosse la risultante di un insieme di colpe individuali e nella sua evoluzione rispondesse a principi etico-teologici; come se, cioè, il comportamento di un virus fosse volontario e morale (e finalisticamente buono) e quindi premiasse il comportamento umano più generosamente disponibile all’abnegazione e alla disciplina e punisse quello egoistico e negligente. Non è un caso che, da subito, le attività più ludiche e oziose siano state quelle maggiormente indiziate di favorire la circolazione del virus. Non perché, ad esempio, correre in un parco esponesse qualcuno a particolari pericoli, ma perché rappresentava un affronto intollerabile all’etica del sacrificio a cui tutti erano chiamati. 

Il paradosso è che proprio i vaccini – il vero punto di svolta della strategia anti-Covid, l’unica luce che abbiamo non in fondo, ma dentro a un tunnel che non sappiamo quanto lungo sarà – hanno dimostrato sperimentalmente il contrario, cioè che la prima vera battuta d’arresto al virus è arrivata da una strategia fondata non sull’eroismo, ma sul vantaggio individuale, non sulla collettivizzazione morale del popolo, ma sulla efficienza di una strategia sanitaria che tratta il virus da virus, non da castigo di Dio per le colpe degli uomini.

Adesso, con i vaccini, gli schieramenti sono più netti e lo scontro è ancora più furibondo, oltre che decisamente più impari. Ma la predicazione pro vax e quella no vax continuano a rispecchiare lo stesso schema e ad aderire alle stesse regole, a partire da quella fondamentale: questa è una guerra in cui vale tutto e in cui qualunque mezzo, anche il più sporco, è redento dalla santità del fine. Compreso il mezzo giornalisticamente più sporco di tutti: una sceneggiatura dei fatti, concepita per impressionare e condizionare il pubblico. Non perché sappia ciò che deve sapere, ma perché faccia quel che deve fare.

L’informazione italiana divisa dalla guerra civile vaccinale continua essere unita dalla vocazione scandalistica e dallo stile minatorio e a comportarsi in modo identico, a prescindere dalla diversità delle posizioni, tra infotainment e fiancheggiamento politico: ha reso la pandemia, o, come si preferisce dire, la “guerra contro il virus” un prodotto di consumo di massa, con un profluvio di cronache dal fronte degne dei radiogiornali dell’Eiar o della contro informazione rivoluzionaria; ha fatto del vaccino il vitello d’oro di una idolatria ideologica salutista o equiparato la vaccinazione di massa a un progetto di immunizzazione sociale e di controllo biopolitico; ha fatto coincidere la mobilitazione morale con una perenne eccitazione necrofila o eletto l’ipocondria o la vaccinofobia a forma di resistenza e di jihād libertaria; ha montato il baraccone dei mangiafuoco del ce lo dice la scienza e dei mammasantissima del paternalismo intimidatorio e ha ospitato e continua a ospitare un infinità di nani e ballerine cospirazioniste, che tirano su gli ascolti per gli inserzionisti e il morale alle minoranze non vaccinate. Un colpo al cerchio del moralismo woke e un altro alla botte dell’affarismo pubblicitario. Tanta lotta, un po’ di quattrini, ma nessuna informazione.

Insomma, se le posizioni a favore e contro i vaccini sono molto diverse dal punto di vista razionale, la comunicazione pro vax e no vax sono semplicemente uguali e contrarie e congiurano entrambe, per le identiche ragioni, per una tribalizzazione dello scontro pandemico, di scarsissima utilità per la salute della nostra democrazia e dei suoi cittadini.