Gli insospettabiliIn Italia la prima minaccia per l’ambiente sono agricoltura e allevamento

Dal nuovo rapporto redatto dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale emerge che attività intensive, utilizzo di pesticidi, emissioni climalteranti derivanti da questo settore produttivo stanno compromettendo interi habitat e specie animali e vegetali

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Agricoltura e allevamento sono la più forte pressione sull’ambiente in Italia e, insieme, la prima minaccia alla biodiversità. Lo attesta il rapporto Ispra “Transizione Ecologica Aperta. Dove va l’ambiente italiano” presentato il 13 dicembre alla Camera dei Deputati. 

Come si legge nel documento redatto dall’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) “il grande problema della produzione del cibo è la competizione con la natura selvatica per una risorsa fondamentale: il territorio”.

Gli interessanti numeri emersi dal report sono stati pubblicati circa tre settimane dopo l’approvazione della nuova politica agricola comunitaria (Pac), esito di una trattativa durata tre anni. Votata dall’Europarlamento, entrerà in vigore nel 2023 e per quattro anni potrà contare su 386,6 miliardi di euro, circa un terzo del bilancio pluriennale dell’Unione Europea. 

I dati
Guardando ai dati forniti dal nuovo report Ispra, si capisce quanto politiche agricole errate possano compromettere non solo la nostra salute ma anche quella dell’intero territorio. In Italia, la biodiversità sta attraversando una profonda crisi, come evidenziato dall’elevato numero di specie a rischio di estinzione, concentrato soprattutto nelle pianure e lungo le coste, in particolare negli ambienti di acqua dolce. E il principale fattore di minaccia è rappresentato dalla distruzione e frammentazione degli habitat naturali, processi incentivati soprattutto dall’agricoltura.

Nel 2019, questo settore ha rappresentato l’8,1% delle emissioni totali di gas serra in Italia. E nonostante dal 1990 al 2019 abbia fatto registrare una riduzione delle emissioni del 17,3%, le attività agricole e zootecniche oggi continuano a favorire non solo la perdita di biodiversità ma anche, ad esempio, la stragrande maggioranza delle emissioni di ammoniaca, potente inquinante dell’aria la cui volatilizzazione contribuisce alla formazione di aerosol e di particolato in atmosfera. Una volta depositata a terra, l’ammoniaca può anche aumentare l’acidità del suolo, influenzando la biodiversità e intervenendo nei processi di eutrofizzazione delle acque. 

Un altro problema riguarda l’agricoltura intensiva, che anche se in grado di garantire una maggiore produzione di cibo restituendo molti territori ai boschi, soprattutto in collina e in montagna, ha spesso un impatto molto forte sull’ambiente. Stessa cosa avviene con l’allevamento intensivo: da una parte i pascoli abbandonati sono tornati al bosco, ma la produzione di mangimi richiede che la terra coltivabile venga dedicata a questo scopo. “Non è facile uscire da questa contraddizione, ma è chiaro che non ci può essere transizione ecologica senza un forte ridimensionamento dell’impatto ambientale della produzione del cibo”, si legge nel report. 

Questo, infatti, è l’obiettivo della nuova strategia europea Farm to Fork, che fra le altre misure prevede entro il 2030 la riduzione del 20% dell’impiego di fertilizzanti e del 50% dell’impiego di pesticidi, e la destinazione ad agricoltura biologica del 25% della superficie agricola europea. La sostenibilità è anche l’obiettivo di moltissime innovazioni che hanno già cominciato a cambiare il volto dell’agricoltura, e che vanno dalla digitalizzazione nella cosiddetta “agricoltura di precisione” alla lotta integrata ai parassiti, dal miglioramento genetico al vertical farming, oltre naturalmente al continuo affinamento delle tecniche tradizionali. “Una parte della soluzione è anche il cambiamento delle abitudini alimentari – ha spiegato Ispra – a parità di potere nutritivo la carne ha un impatto sull’ambiente maggiore rispetto agli alimenti vegetali”.

Le strategie climatiche europee
Le politiche climatiche europee hanno stabilito che l’Italia dovrà ridurre le emissioni di gas serra complessivamente prodotte dai settori agricoltura, residenziale, trasporti, rifiuti e impianti industriali non inclusi nella Direttiva EU-ETS (European Union Emission Trading Scheme) del 33% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. “Questo obiettivo – si legge nel report – è in fase di revisione, sulla base del nuovo e più ambizioso obiettivo di riduzione fissato nel pacchetto legislativo europeo Fit for 55, che servirà al raggiungimento della neutralità climatica al 2050 stabilita nella strategia europea del Green Deal”. 

Come sottolineato dall’Ispra, per ridurre le emissioni possono essere impiegate diverse tecniche di mitigazione. Prendendo ad esempio la produzione di metano dovuta al processo digestivo in particolare dei ruminanti, le emissioni possono essere ridotte attraverso la somministrazione di diete più digeribili, la riduzione di proteina ingerita, l’integrazione nella dieta di additivi o nutrienti o integratori naturali. Per quanto riguarda la gestione dei reflui zootecnici, le tecniche di mitigazione prevedono interventi nelle stalle, la copertura degli stoccaggi, il recupero del metano dal cosiddetto “biogas”, una miscela di diversi gas, tra cui metano, prodotto dalla fermentazione dei reflui zootecnici e di altri residui organici in assenza di ossigeno. Le emissioni da parte delle coltivazioni possono invece essere ridotte attraverso un uso più mirato dei fertilizzanti di sintesi con l’aiuto di tecnologie dell’agricoltura di precisione.

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