C’è bla bla e bla blaCosa sta facendo chi inquina di più per ridurre le emissioni?

A parole tutti gli Stati sono – o saranno presto, dicono – campioni di ambientalismo, ma nei fatti cosa è cambiato con gli ultimi impegni internazionali? Uno sguardo ai “climate pledge” e alle strategie anti-cambiamenti climatici dei Paesi del mondo

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Quasi tutti i governi promettono miglioramenti nelle emissioni di inquinanti in atmosfera. Lo fanno perché è importante rendere credibile la propria politica energetica, ma anche perché quello del clima è un tema entrato a tutti gli effetti nei rapporti diplomatici. Ma per avere un’idea precisa di quanto ognuna di queste promesse sia realmente importante, influente e più o meno coraggiosa serve dare uno sguardo ai numeri e alle diverse situazioni di partenza, soprattutto quelle dei paesi più inquinanti.

Oltre il 50% delle emissioni globali di Co2 dipende soltanto da cinque blocchi politici: quattro nazioni, cioè Cina, Stati Uniti, India e Russia, a cui si aggiunge l’Unione Europea. Tutti e cinque hanno firmato l’Accordo di Parigi nel 2015, in cui ci si impegnava a mantenere le temperature globali a +1,5° rispetto ai livelli preindustriali. Ma ognuno di questi blocchi politici contribuisce in modo molto diverso all’inquinamento atmosferico e al riscaldamento globale. E ha programmi, obiettivi e dati altrettanto diversi. Vediamoli.

La Cina è il paese che inquina di più, in termini assoluti. Mentre a livello pro capite è terza, dopo Stati Uniti e Russia. Le emissioni cinesi, però, sono in aumento. E questo è un dato fondamentale per cercare di capire il peso, sul breve e sul lungo termine, delle politiche del governo di Pechino. L’idea è la seguente: accelerare ora sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, così da raggiungere il picco delle emissioni entro e non oltre il 2030, e da quell’anno in poi ridurle progressivamente. Entro il 2060, invece, la Cina prevede di raggiungere la neutralità climatica, cioè di poter emettere tanti gas in atmosfera quanti l’ambiente può assorbirne, senza quindi più contribuire a un aumento degli inquinanti presenti in atmosfera, né al riscaldamento globale che ne consegue.

Già oggi la Cina produce da sola più di un terzo di tutta l’energia solare globale, oltre a essere il paese che al mondo produce più energia eolica. Sono dati incoraggianti, se presi singolarmente, ma rimane il fatto che il governo della Repubblica Popolare, per raggiungere gli obiettivi che si è dato, dovrà ridurre la domanda di carbone di oltre l’80% entro il 2060. Va aggiunto un ultimo tassello: non è chiaro se il piano della Cina per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 valga per tutti i gas serra o soltanto per la Co2. Secondo Climate Action Tracker non sarebbe chiaro.

Gli Stati Uniti sono il secondo paese che inquina di più, ma sono il primo se consideriamo l’inquinamento pro capite. I piani di Washington sono ambiziosi: raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 e diminuire del 50% le emissioni, rispetto ai livelli del 2005, entro il 2030. Ancora oggi, però, la produzione energetica degli Usa dipende all’80% dai combustibili fossili, come il petrolio.  

A differenza della Cina gli Stati Uniti hanno già delle emissioni in calo, e questo avviene da almeno un decennio. Un altro dato, piuttosto positivo, emerso dalla scorsa conferenza sul clima tenutasi a Glasgow (la Cop26) è che entro il 2030 gli Usa vogliono che almeno la metà della produzione di nuove auto sia di modelli elettrici. 

L’Unione Europea è, tra i cinque blocchi politici elencati all’inizio, quello più avanti nel processo di riduzione delle emissioni. L’Ue ha potuto annunciare, infatti, di tagliare il 55% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. La percentuale di energia rinnovabile nell’Unione sarà del 40% entro il 2030. Come gli Usa anche l’Ue si è data il 2050 come limite temporale per arrivare alla neutralità carbonica, con la differenza di essere più avanti nel processo.

L’Unione infatti, secondo il Climate Action Tracker, rientra tra i paesi le cui policy sono “almost sufficient”, cioè quasi sufficienti, a essere in linea col mantenere il riscaldamento globale entro i +2°. La differenza più evidente tra Unione e Stati Uniti è però nella finanza climatica: quella statunitense è considerata «critically insufficient», quella dell’Unione Europea invece semplicemente «insufficient». 

Infine abbiamo Russia e India, che possiamo considerare i meno potenti, diplomaticamente e politicamente, dei cinque protagonisti che elencavamo all’inizio di questo articolo. Allo stesso tempo, però, sono sicuramente quelli che con più difficoltà prenderanno misure efficaci e coraggiose per ridurre le emissioni. L’India perché è un paese popolosissimo (presto sarà il più popoloso al mondo) ma politicamente frammentato e ancora in una fase iniziale e acerba di sviluppo industriale ed economico, quindi con margini di manovra più limitati sul come questa produzione industriale può avvenire. La Russia invece ha la sua problematicità nell’avere un’economia saldamente legata all’estrazione e la vendita di combustibili fossili, come il gas naturale. Non solo: a Mosca, il riscaldamento globale, conviene: perché lo scioglimento dei ghiacci a nord del continente eurasiatico renderebbe possibile far transitare le merci dall’Asia (polo produttivo globale) all’Europa e l’America del nord (polo globale dei consumi). La nuova rotta marittima, oggi impedita dai ghiacci, darebbe nuova importanza alle coste e ai porti russi.

La Russia, nonostante queste ragioni, prevede di raggiungere la neutralità carbonica nel 2060 (da tenere a mente: sono previsioni basate su autodichiarazioni, e non sono previste sanzioni o multe ai paesi che non le rispetteranno) mentre l’India nel 2070. Entrambe le date sanciscono una certa differenza tra Oriente e Occidente, con Mosca che in questo caso condivide le date per il raggiungimento dei suoi obiettivi con Pechino. Anche se con una differenza sostanziale: Pechino sta aumentando gli investimenti nelle energie rinnovabili, tanto da poterne diventare il leader, della Russia per ora non si può dire lo stesso.

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