Inside LondraLa fragilità del governo Johnson e le tre conseguenze irrisolvibili di Brexit

Le tensioni marittime con la Francia, lo stallo sull'Irlanda del Nord con Bruxelles e l'accordo commerciale con gli Stati Uniti che tarda ad arrivare, per Downing Street la situazione è sempre più ingarbugliata. Ci sarà la tregua di Natale, come nel 2020?

LaPresse

«Le relazioni diplomatiche tra Regno Unito e Francia non vanno così male dai tempi di Waterloo». Lo ha detto alla radio del Times l’ex ambasciatrice Sylvie Bermann. Il presidente Emmanuel Macron ha definito «un clown alla guida di una grande nazione» il primo ministro inglese, in privato ma finora senza smentite. Ma a preoccupare Boris Johnson non sono solo le tensioni sui migranti con Parigi: gli Stati Uniti temporeggiano sulla rimozione dei dazi su alluminio e acciaio dell’era Trump, quelli che Joe Biden ha già sospeso per l’Unione europea. Traballa anche l’accordo commerciale con Washington, perché la Casa Bianca teme che Londra voglia attivare l’«Articolo 16» sull’Irlanda del Nord

Non è la prima volta che Macron critica in pubblico la mancanza di serietà di Johnson. Lo ha fatto anche durante il rimpallo di responsabilità sui migranti nella Manica, dove il 25 novembre sono morte affogate 27 persone, nel peggior naufragio della tratta da quando i dati vengono registrati. Nello stesso mese, più di mille richiedenti asilo sono sbarcati: un record. Malgrado la guerra di parole, entrambe le controparti, Francia e Regno Unito, hanno privilegiato politiche securitarie per far fronte all’emergenza. Parigi, che da Londra riceve a questo scopo 62,7 milioni di euro nel biennio 2021-2022, ha stanziato di recente 11 milioni di euro tra equipaggiamento e mezzi per intercettare i migranti prima che salpino. 

Lo stallo ha esasperato entrambe le sponde. Secondo Johnson chi attraversa il canale dovrebbe venire rimpatriato in Francia. È per questa situazione che Macron, durante la visita ufficiale in Croazia, si sarebbe sfogato davanti all’entourage, chiamando «testa vuota» il premier. Lo ha riportato lo storico settimanale satirico Le Canard Enchaîné. «Con lui è sempre il solito circo», avrebbe detto il presidente, riferendosi alle giravolte politiche di Johnson, accusato di ribaltare in pubblico quanto afferma in privato. In particolare, all’Eliseo sono convinti che i conservatori vogliano attribuire alla Francia le conseguenze negative, ammesso ce ne siano di positive, della Brexit. «Il primo ministro resta un fervido sostenitore della relazione anglo-francese», ha commentato Downing Street ai giornali inglesi. 

Il rapporto è in crisi. C’è un odio secolare tra due nazioni che si somigliano più di quanto siano disposte ad ammettere, in un millennio dove hanno smesso di contare, schiacciate dai nuovi giganti. La tensione è oltre il livello di guardia da dopo l’«affaire AUKUS», quando Gran Bretagna si è schierata con gli Stati Uniti, contribuendo a far saltare la commessa di sottomarini francesi da 56 miliardi di euro. È appannata anche la «relazione speciale» per antonomasia, quella con gli Stati Uniti. A differenza di quanto fatto con l’Unione europea a ottobre, Washington non ha ancora levato le tariffe su alluminio e acciaio, rispettivamente del 10 e del 25%, stabilite nel 2018 ai tempi dell’isolazionismo trumpiano. 

I produttori britannici si trovano così davanti a uno svantaggio competitivo. L’ennesimo «dividendo» della Brexit. Da parte sua, Londra mantiene in vigore i dazi sul bourbon whiskey, ma è una ritorsione poco consolatoria. A essere incagliato, infatti, è anche l’accordo quadro, il trattato commerciale tra Regno Unito e Usa che continua a mancare. L’amministrazione americana, secondo quanto scrive il Financial Times, è stata chiara nel motivare le ragioni del ritardo: le minacce, da parte del governo inglese, di rifarsi all’articolo 16 che sospenderebbe il protocollo sull’Irlanda del Nord. 

Dopo il divorzio dall’Ue, la regione è rimasta nel mercato unico europeo. E ne ha beneficiato: ha avuto il rimbalzo economico post-lockdown migliore tra le nazioni che compongono il Regno Unito. Ma Joe Biden è preoccupato per il processo di pacificazione di una terra che, a partire da questa primavera, ha vissuto come in un déjà vu il ritorno della violenza politica.  Secondo gli analisti, dopo un autunno difficile – i media hanno parlato di «inverno del malcontento», con un calco da Shakespeare – Johnson punta a chiudere il 2021 senza ulteriori scossoni per l’opinione pubblica. 

La «tregua di Natale» servirebbe al primo ministro anche per non venire disarcionato da un partito su cui ha perso il «grip». Gli scandali, l’ultimo quello sul lobbying e il doppio lavoro dei parlamentari, hanno appannato l’immagine da decisionista, con continue inversioni. Anche l’aula di Westminster rischia di essere terreno di imboscate: i ribelli, tra i Tories, sono sempre di più, hanno votato contro l’esecutivo su temi che vanno dalla social security allo smaltimento delle acque reflue. La maggioranza monstre dei conservatori, che pesava 86 voti, si è assottigliata a 26. È presto per evocare lo spirito di Theresa May, ma Boris sta affrontando la crisi di consenso più seria della sua carriera.

L’inner circle del primo ministro spera apertamente in un compromesso dell’ultimo minuto con l’Europa sull’Irlanda del Nord, come quello che il 24 dicembre del 2020 ha sancito l’uscita definitiva, a tempo quasi scaduto prima della «hard Brexit». La conferma del capo negoziatore lord David Frost potrebbe non aiutare. «L’approccio dei britannici è molto ideologico – ha spiegato un diplomatico al Financial Times –, la loro priorità resta la Brexit, mentre noi saremmo interessati a una relazione più stretta». 

L’Office for Budget Responsibility ha stimato che l’impatto di lungo periodo della separazione dell’Ue sarà due volte quello della pandemia da coronavirus: con una contrazione della produttività potenziale del 4% e del 15% per importazioni ed esportazioni. Per questo, la «Global Britain» non può permettersi di innescare una guerra commerciale con Bruxelles, né di compromettere il «trade deal» con gli Stati Uniti. Potrebbe cambiare la linea sull’offerta, inizialmente rifiutata, della commissione europea di ridurre dell’80% i controlli doganali sui prodotti animali e vegetali e di dimezzare la burocrazia per gli scambi tra l’Ulster e la madrepatria. 

Intervistato da Nigel Farage su GB News, l’ex presidente Trump ha scaricato il suo «clone», come veniva spesso bollato Johnson. «Sta diventando un liberale», ha detto contestando le politiche ambientaliste per rendere il Regno Unito «l’Arabia Saudita del vento». In fin dei conti, Johnson ha fatto anche cose buone.

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