La pandemia da Covid ci ha fatto conoscere meglio il mondo dei liberi professionisti o comunque ci ha permesso di superare molti pregiudizi esistenti su di esso, mettendo da parte la “maschera” dell’evasore per accorgerci dei tanti giovani che dopo anni di studio, tirocini e collaborazioni sommerse cercano di sopravvivere nel mercato dei servizi professionali, tra cambiamenti normativi, evoluzioni tecnologiche, aumento dei costi, apertura dei mercati, nuovi adempimenti, cambiamenti demografici, nuovi modelli organizzativi per lo svolgimento della professione.
Siamo ben lontani dal lavoro protetto e i cambiamenti richiamati che interessano tutti i lavoratori riguardano anche i professionisti. Il professionista viene per la prima volta considerato come lavoratore e in quanto tale destinatario di tutele.
Parliamo di un settore che riproduce gli stessi divari del mercato del lavoro subordinato, ma senza le protezioni di questo. Anche nel mondo delle professioni registriamo i divari territoriali, con differenze nord-sud importanti in termini di compensi. Registriamo un gender pay gap in sfavore delle donne e un divario generazionale che vede i giovani avere redditi adeguati dopo i 45 anni, con ricadute nefaste in termini previdenziali. Completano il quadro fattori come la demografia avversa, il basso numero di laureati, la bassa innovazione, il calo dei giovani e il permanere in attività oltre i 70 anni, elementi questi ultimi che portano ad avere una platea meno propensa all’innovazione e quindi più esposta agli effetti disruptive dei cambiamenti tecnologici ed economici.
I cambiamenti saranno frequenti, volontari o dettati da un ever changing world come quello attuale. È la fine delle carriere monolitiche e l’inizio dell’era delle totalizzazioni e dei cumuli, per dirla con il linguaggio previdenziale. Per questo welfare e servizi di formazione costituiranno gli strumenti necessari per gestire le tante transizioni.
La formazione continua, il life long learning, è per un professionista un dovere al fine di garantire prestazioni di qualità ai propri clienti, una necessità per rimanere competitivo in un mercato aperto e digitale, ma è ovviamente un costo da sopportare. Bene fece il legislatore della legge 81/2017 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale) a introdurre la deducibilità integrale entro il limite annuo di 10.000 euro delle spese per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale nonché le spese di iscrizione a convegni e congressi, comprese quelle di viaggio e soggiorno.
Oggi ci troviamo di fronte ad un settore magmatico, difficilmente fotografabile. L’Istat ricomprende tra gli occupati indipendenti (oggi intorno ai 4,9 mln): imprenditori, liberi professionisti, lavoratori autonomi, coadiuvanti nell’azienda di un familiare (se prestano lavoro nell’impresa senza il corrispettivo di una retribuzione contrattuale come dipendenti), soci di cooperativa, collaboratori (con e senza progetto) e prestatori d’opera occasionali.
I dati delle Casse, i più attendibili sui professionisti ordinistici, registrano l’andamento dei redditi con un lag temporale di quasi due anni, troppo nell’era dei cambiamenti continui e degli interventi tempestivi.
Il mondo dei professionisti va analizzato bene, distinguendo nell’ambito degli occupati indipendenti dell’Istat, delle partite Iva o delle ditte individuali, tra i professionisti ordinistici e non regolamentati. È un mondo eterogeneo, spesso poco conosciuto nelle sue articolazioni e specificità. Il governo durante la pandemia Covid-19 lo ha ripartito secondo un criterio previdenziale tra gli iscritti alla gestione separata e quelli iscritti alle Casse di previdenza.
Cosa è accaduto nel 2020? In mancanza di un dato consolidato sulle dichiarazioni dei redditi, probabilmente un calo dei redditi e un conseguente adeguamento dei costi dello studio, con la rinegoziazione dei canoni, e il ricorso a bonus o prestiti.
Il lockdown ha chiuso alcuni mercati e pertanto molti hanno rivisto la dimensione degli studi o il numero dei dipendenti, ma senza cancellarsi dall’ordine o chiudere la partita Iva. Il 2020 è stato un anno di attesa, essendo stata bloccata tutta l’economia e non avendo avuto altre opportunità concrete da valutare, così in parte anche il 2021. Sospesi tra la delusione circa la grande incertezza che caratterizza l’attività professionale e le speranze ventilate su una ripresa sostenuta dal Pnrr.
Cosa sta accadendo e cosa potrebbe accadere?
Per rispondere a questa domanda occorrerebbe distinguere tra professioni e tra territori. Non si può parlare in maniera generica di “professionisti” e pertanto andrebbero analizzati i diversi “mercati”, soggetti a leggi differenti, esposti a cambiamenti diversi e condizionati dalle distanti economie della nostra lunga Italia.
Anche i processi di semplificazione, guidati dalla digitalizzazione (Internet of things, block chain o banalmente servizi da remoto e accessi semplificati), possono ridurre e cambiare i mercati di riferimento. Inoltre, occorre tenere conto della forza o della fragilità pre-pandemia per capire gli effetti del lockdown sulle diverse platee. I ritardi nei pagamenti dei contributi alle Casse o all’ordine sono certamente indicatori di debolezza, che possono dare importanti informazioni a chi vuole svolgere un ruolo di tutela a 360°. Per questo controllare lo stato di salute economica e non solo delle platee dovrebbe essere un obbligo per i corpi intermedi come le Casse, gli ordini o le associazioni di categoria.
Al sud i concorsi pubblici, bloccati per anni, diventano quindi attraenti, perché la professione “fragile” ha deluso molti in considerazione di mercati sempre più asfittici e di costi elevati (affitti, strumentazione, assicurazione professionale, collaboratori, consulenza fiscale e sulla privacy). Costi che portano ad avere il breakeven point intorno i 40.000 euro. Incompatibile con la media dei redditi dei professionisti del Mezzogiorno.
La debole capacità amministrativa delle istituzioni meridionali non garantirà ancora una volta un buon utilizzo dei fondi UE e del Pnrr. Pertanto i tanti concorsi promossi dal governo per cancellieri, ufficio del processo, ufficiali giudiziari, negli enti locali o nella scuola, come Dsga o come docente, stanno registrando la partecipazione di molti professionisti, con conseguenti mobilità territoriali. Da non trascurare infine gli effetti di un’importante femminilizzazione delle platee, dell’emigrazione intellettuale exit only e i fenomeni di invecchiamento attivo.
È immaginabile che avremo un riposizionamento economico dei professionisti e dei cambiamenti importanti. I numeri in alcuni settori erano elevati e pertanto è facile pensare ad una ricollocazione o a processi di innovazione e trasformazione, che potrebbero essere sostenuti con politiche mirate.
Per disegnare le politiche attive anche per i lavoratori autonomi, abbiamo bisogno di imparare a conoscere meglio le nostre platee e di munirci di uno strumentario, che utilizzi le diverse banche dati oggi esistenti, integrandole e alimentandole con le informazioni necessarie. Ciò è rilevante per individuare le misure di sostegno alla professione, ma anche dal punto di vista delle previsioni previdenziali in materia di sostenibilità e adeguatezza.
Come ricorda un recente pamphlet di Stiglitz, Fitoussi e Durand (Einaudi, 2021) occorre misurare ciò che conta e se non si individua ciò che conta ciò viene oscurato e nascosto e questo ci porta ad operare alla cieca. Ed è quello che è accaduto in questi anni e che ha impedito la creazione di un welfare in favore dei professionisti e di lavorare in anticipo per un rafforzamento della loro previdenza.