Mai come questa volta, l’elezione del presidente della Repubblica è vissuta come un Festival di Sanremo della politica: ne parlano milioni d’italiani, tifosi e menefreghisti, competenti e ignoranti, tutti accomunati dalla intima convinzione di capire tutto. È come se gli italiani assistessero a uno spettacolo nazional-popolare, nel senso che Pippo Baudo attribuì a Sanremo, in cui la gara, più che il merito delle scelte, occupa il centro dell’attenzione.
Di più: come durante i Mondiali di calcio tutti gli italiani sono commissari tecnici, o durante un terremoto tutti sismologi, nella vicenda del Quirinale noi italiani diventiamo tutti politologi, costituzionalisti, addirittura filosofi della storia. E per quanto riguarda Sanremo siamo tutti musicologi.
Per una strana combinazione degli astri, poi, il Festival di Amadeus potrebbe svolgersi esattamente nei giorni decisivi delle votazioni parlamentari: la kermesse canora si terrà dal 1 al 5 febbraio, quella parlamentare non si sa ma, iniziando probabilmente il 26 gennaio, e con una sola votazione al giorno, se la situazione non si sbloccasse subito si potrebbe benissimo arrivare alla sovrapposizione tra Montecitorio e teatro Ariston. Qualcuno sosterrà il ticket Morandi-Draghi o Elisa-Cartabia o Zanicchi-Berlusconi, in una grottesca sovrapposizione politico-canora.
Vedremo quale politico verrà accostato a Ditonellapiaga, l’elenco potrebbe essere lungo. E non ci meraviglieremmo se qualche franco tiratore, a Montecitorio, scrivesse sulla scheda Achille Lauro o Mahmood. Un Paese fantastico dinanzi a un inedito doppio Festival, guidati uno da Amadeus e l’altro da Roberto Fico.
Ma a parte la coincidenza delle date, quello che sul Quirinale già adesso colpisce è il gioco tattico che si sta dipanando da settimane, con un anticipo anche qui mai visto nelle occasioni precedenti, di cui sono responsabili in primo luogo i media scatenati nella ricerca della notizia sensazionale, o anche solo obbligati da una nevrotica legge della concorrenza a riempire le pagine per non essere da meno agli altri giornali o siti o tv. I politici in tutto questo bailamme ci sguazzano, specie quei parlamentari poco noti che in Transatlantico ostentano sempre la boria di chi la sa lunga.
E tutto viene piegato alla tattica quirinalizia, persino uno sciopero generale può essere legittimamente sospettato di giocare a favore o contro questi o quel candidato, così come è molto in voga l’idea che appena si fa un nome questo è automaticamente bruciato: se ciò fosse vero, dato che finora sono stato fatti almeno 20 nomi, vorrebbe dire che sono stati cancellati i 20 nomi più importanti della politica italiana, il che non ha senso. Tutti sono in campo, e nessuno. La Corsa al Quirinale, così come Sanremo, funziona così. I partiti così come le case discografiche sono scatenati.
Ma la verità – e qui parliamo seriamente – è che nessuno sa come andrà a finire, e non solo per una legge non scritta che dice che il Presidente viene scelto proprio negli ultimi cinque minuti, ma perché ogni nome ha una controindicazione formidabile: vincerà chi ha la controindicazione più assorbibile dal sistema. Assorbibile – si badi – in termini politici e non giuridico-istituzionali: sotto quest’ultimo aspetto entrano in ballo sottili giuristi in competizione tra di loro a chi trova il garbuglio meno districabile.
È vero che mai prima d’ora si era avuta la concreta possibilità di un presidente del Consiglio eletto presidente della Repubblica, ma siccome il diritto spesso è più intelligente di chi lo commenta, la soluzione appare abbastanza semplice: è quella di una supplenza o del Capo dello Stato (il mandato di Mattarella comunque scadrà il 3 febbraio e la funzione sarebbe assunta da Maria Elisabetta Casellati) o del presidente del Consiglio Mario Draghi se eletto al Colle (il governo sarebbe momentaneamente guidato al ministro anziano Renato Brunetta). È persino più semplice delle complicate votazioni da casa per decretare il vincitore del Festival di Sanremo.