Scusi Calenda, lei si sente un vincitore? «No. Mi sento il difensore delle esigenze di Roma», ci risponde. Probabilmente non ha ancora smesso i panni del candidato sindaco, ma il leader di Azione, che ha rimandato a casa un ex presidente del Consiglio come Giuseppe Conte ancora prima che questi mettesse il naso fuori, sul punto insiste: «Io non ce l’ho con Conte. Io ce l’ho con il Movimento Cinque stelle che ha distrutto questa città, il cui Collegio del Centro non avrebbe meritato una candidatura del capo del medesimo M5s. È molto semplice».
Il caso Conte-Calenda si chiude qui. Con la fuga dell’avvocato, fulminato sulla via di Calenda nel senso che il terrore si è impadronito di lui quando il capo di Azione è sceso in campo. Di caso però se ne apre un altro, il caso Pd-riformisti. I dem hanno una teoria elementare che più o meno suona così: se si vuole vincere ci si allea con chi ha i voti. A parte che a Roma il M5s di consensi non ne ha, come poi questa banalità si saldi con costruzioni più ardite tipo Nuovo Ulivo o campo largo non è chiarissimo.
Soprattutto a Calenda, che non si spiega la condotta di Enrico Letta al quale aveva chiesto varie volte di condividere un percorso comune. Durante la presentazione del libro di Marco Bentivogli sul lavoro (il leader di Base ha fatto il miracolo di far discutere insieme Calenda, Maria Elena Boschi e Debora Serracchiani), Calenda ha raccontato: «Tre settimane fa ho chiamato Letta e, visto che a Roma centro ho preso circa il 32 per cento, gli ho detto di non fare una cosa all’ultimo e poi ognuno va solo. Mi ha detto “sì, certo”, ma poi non l’ho più sentito. Poi sono usciti alcuni nomi, l’ho richiamato e gli ho detto “parliamo” ma poi di nuovo non l’ho più sentito fino a che è uscito Conte. Allora, prima di combinare un altro macello facendosi dire di no da Conte, possiamo sentirci cinque minuti? Una roba semplice… Magari può essere utile per tutto il campo del centrosinistra».
Quando domenica è cominciata a girare l’ipotesi di candidare Conte, il leader di Azione non ci ha pensato troppo: mi candido. Probabilmente ha sentito anche Matteo Renzi, o qualche intermediario, perché il capo di Italia viva ieri mattina ha scritto che «a Roma Centro ci sarà una bella battaglia», una specie di via libera al “nemico” di Azione. Accomunati a sorpresa grazie alla comune ostilità per l’avvocato del popolo. È un miracolo targato Nazareno.
Ancora Calenda: «Perché il Pd fa così? Perché è totalmente subalterno ai 5 stelle. Gli abitanti di Roma Centro i grillini li hanno praticamente cacciati via, hanno preso il 5 per cento. E io il 32. Ma il Pd niente, fa di tutto per tenerli in vita… Invece io penso che vadano messi nella condizione di non nuocere, a Roma e in Italia, e questo è anche un mio compito. Questa volta l’ho realizzato, va bene così». Soddisfatto, Calenda ci saluta e se ne va nella fredda sera romana, in quel centro della Capitale che Giuseppe Conte non conquisterà mai.