Ho resistito per quasi due anni, poi è successo. Ecco qui la mia ultima settimana. Nel cuore della notte (esattamente alle ore 23 di domenica), la chat di classe va in autocombustione. I bambini domani usciranno dopo pranzo. Spiace, c’è un’emergenza. Spiace, non c’è personale. Spiace, è Natale.
Ora, se qualcuno mi scrive dopo le 22, di certo non si può aspettare che io risponda gratis. La cosa si ripete nei giorni a seguire, con una me convinta che l’ultimo giorno di scuola fosse il 23, e invece no, è il 22, faccio finta di niente, faccio la pazza, forse il 23 è festivo, è recupero, è Natale, è sciopero, è assemblea sindacale, è concorso pubblico. Senza fare una piega mando mail alla preside in cui dico che no, io non ci sto, voi mi dovete dire cosa succede, voi me lo dovete dire a che ora esce mio figlio, voi statali, voi, che festa sarebbe il 23 Dicembre, la festa del posto fisso? Faccio la pazza, dicevo.
In chat mi dicono che non si può programmare un malore. Io non ne sarei così convinta amica mia, comunque è evidente che non si tratta di malore, quarantena, focolaio, morte dei primogeniti, se no saremmo tutti a casa, non è che il virus va in pausa pranzo, al massimo va in giro dopo cena, questo ci ha insegnato il coprifuoco. Ve lo ricordate il coprifuoco? Ah la scienza, che magnifica scoperta.
Dicono che sono finite le graduatorie, cioè è proprio finita la lista delle persone da chiamare disponibili alla supplenza. Non sappiamo perché non ci siano le insegnanti di ruolo, ma ci balocchiamo ancora con il pensiero che le maestre debbano voler bene ai nostri figli, e invece i nostri figli sono un lavoro. Una volta una persona mi ha detto che aveva finito i fogli di word, ho riso per giorni, ma adesso io capisco come ci si sente a finire i fogli di word. Pensi che non è possibile, e invece.
All’improvviso, un pensiero si fa largo nel corridoio stretto dove risiede la mia memoria oramai irrimediabilmente danneggiata da tutta questa fatica di vivere: e le bolle? Ve le ricordate le bolle? I bambini staranno nella loro bolla, questo ci dicevano, queste bolle di cemento armato e bamboline in pannolenci, dove nessuno può entrare, nessuno può uscire, nessuno può mescolare ciò che il governo ha unito. Queste bolle vivono? Sono scoppiate? Porto mio figlio a scuola. Non c’è nessuno.
Mi hanno buttato fuori dalla chat di classe, di nuovo? Ho sbagliato giorno, di nuovo? È sciopero, di nuovo? È “Contagion”, di nuovo?
Le collaboratrici scolastiche – due, perché qua mica stiamo a pettinare le bamboline in pannolenci delle bolle: una controlla il lasciapassare, l’altra controlla la temperatura – ci sono, sorridono, ma intorno niente. E le risate dei bambini? La gioia di vivere? Silenzio. Hanno chiuso quasi tutte le classi. E io non mi ero accorta di niente, non mi ero accorta che è solo questione di tempo. La probabilità che ci ammaliamo è molto alta, ed è un pensiero che un anno fa non avevo. Perché un anno fa sapevamo che i bambini non si ammalavano. Quindi, è successo che sono finita dentro una voragine di paranoia di preghiere a caso.
Adesso le anime belle dicono di allungare le vacanze di Natale, si può recuperare in estate. Le anime ancora più belle ti dicono che se fossi una madre decente non porteresti tuo figlio a scuola, che poi infetta i nonni a Natale, gli stessi nonni che se lo tengono tutti i pomeriggi. La scuola non è un parcheggio, dicono le anime belle, bellissime. Lo sappiamo, anche perché i parcheggi hanno un sistema di aereazione più efficace. Le anime belle forse sono troppo belle per lavorare? Intanto, buon 2020 a tutti.