In Europa c’è un Paese pronto a rieleggere il suo presidente della Repubblica con un largo consenso dei partiti. No, non è l’Italia, ma la Germania: Frank-Walter Steinmeier è vicinissimo a un secondo mandato. Dopo l’appoggio dei Verdi, dei Liberali e anche della Cdu/Csu il passaggio parlamentare del prossimo 13 febbraio sembra praticamente una formalità per l’esponente della Spd, in carica dal 2017.
«In tempi in cui la divisione della società è in aumento, la coesione è importante. Questo è ciò che Frank-Walter Steinmeier rappresenta come presidente federale. Per questo sostengo la sua rielezione», ha twittato l’ex candidato alla Cancelleria dell’Union Armin Laschet, sottolineando l’abbandono da parte del partito dell’ex Cancelliera Angela Merkel di ogni possibile sostegno ad altri candidati. Un appoggio su cui evidentemente concorda anche Frederich Merz, presidente della Cdu da pochi giorni.
La nomina bis, un caso straordinario
Rieleggere l’inquilino di Palazzo Bellevue, il Quirinale tedesco, per altri cinque anni è una possibilità che la Costituzione teutonica prevede, al contrario di quella italiana. Eppure, l’eventualità resta straordinaria: dei 12 presidenti eletti in più di 70 anni di democrazia, soltanto Theodor Heuss e Richard von Weizsäcker hanno concluso il loro secondo mandato, portando il Paese fuori da due momenti storici fondamentali come la fondazione della Repubblica Federale Tedesca e l’unificazione della Germania.
A convincere i 1472 grandi elettori (736 membri del Bundestag a cui si aggiungono 736 rappresentanti dei Lander) ad affidare loro un secondo mandato c’erano riusciti anche Heinrich Lubke e Horst Koehler, che però si sono dimessi prima della fine dell’incarico. Autentici casi limite, che infatti alcuni partiti non sembravano voler riproporre: sia all’interno dell’Union che dei Grünen c’era infatti l’ipotesi di candidare per la prima volta una donna alla guida dello Stato.
«È una tragedia di queste elezioni all’Assemblea federale che le donne siano sempre state nominate dai partiti che non avevano la maggioranza», aveva sottolineato Omid Nouripour, candidato alla presidenza dei Verdi ai microfoni di Tagesschau.
Alla fine, però i numeri dalla parte dei Steinmeier hanno fatto sì che i partiti si allineassero dietro l’attuale presidente della Repubblica, resosi disponibile alla riconferma già a maggio 2021. Per questo è molto probabile che, esattamente come von Weizsäcker nel 1989, Steinmeier non trovi davanti praticamente nessun avversario nella corsa al bis, potendo contare su 1222 voti a favore, un margine largamente superiore al limite di 737 preferenze necessarie nel primo e nel secondo scrutinio, dove è richiesta la maggioranza assoluta.
Il passaggio a una maggioranza semplice a partire dal terzo scrutinio rende praticamente impossibile il sabotaggio di qualche franco tiratore, visto che in Germania, così come in Italia, l’elezione del capo dello Stato è a scrutinio segreto.
I poteri
Rispetto all’omologo italiano, il presidente della Repubblica Federale di Germania ha poteri decisamente più limitati: non è al vertice delle Forze Armate né tantomeno può interferire nella scelta dei ministri da parte del Cancelliere (potere “informale” che invece ha il capo di Stato italiano, come dimostra ad esempio il caso Savona nella formazione dell’esecutivo gialloverde).
Le ragioni sono legate essenzialmente al passato nazista della Germania, che ha portato i Padri costituenti tedeschi a non affidare troppi poteri alle cariche monocratiche. Eppure, le prerogative in capo al presidente restano ancora tante: può infatti nominare il Cancelliere e, su proposta di questo, i ministri; concedere la grazia a livello federale e sciogliere il Bundestag.
Poteri molto simili a quelli dell’inquilino del Quirinale, al quale lo accomuna anche il ruolo di rappresentanza dello Stato oltre che di risolutore di difficili situazioni politiche o parlamentari. A differire è spesso però l’interpretazione, oltre ai contesti politici che ci si trova davanti: nonostante il presidente tedesco debba “spogliarsi” di ogni appartenenza partitica Steinmeier è comunque riuscito a convincere la sua Spd a entrare nel quarto governo Merkel, partito in salita dopo le difficoltà di convivenza tra Fdp e Grünen.
Un intervento del genere probabilmente sarebbe impensabile per il Quirinale, abituato a sbrogliare più matasse ma mai in modo tanto diretto.
Chi è Steinmeier
A essere sistematicamente esclusa dal compromesso presidenziale è Alternative für Deutschland, più volte contestata dal Capo dello Stato per i suoi discorsi e il suo definirsi “partito borghese”. «Lo scandaloso presidente federale Steinmeier è tutt’altro che degno del suo incarico. Al di là delle congratulazioni al regime terroristico iraniano o gli inviti agli estremisti di sinistra credo che Steinmeier non rappresenti in alcun modo gli interessi del popolo e del nostro Stato e danneggi ripetutamente la dignità dell’ufficio», ha dichiarato in una nota Stephan Brandner, vice portavoce federale del partito.
È perciò probabile che il partito possa presentare un suo candidato di bandiera alle elezioni presidenziali, senza grosse speranze di farlo eleggere nemmeno al terzo scrutinio.
Una simile opposizione non è una grossa novità, visto che i rapporti con i settori più estremi del mondo conservatore sono sempre stati difficili. Lo dimostra la contestazione dell’uso della lingua ebraica da parte di Steinmeier in una visita allo Yad Vashem nel 2020, quando preferì non parlare in tedesco per evitare associazioni con il nazismo.
«E allora che dobbiamo dire di Thomas Mann, Erich Kästner, Bert Brecht? Hanno impedito che il tedesco fosse solo la lingua dei nazisti. Ma poi molti ebrei non parlavano tedesco? L’amore per il proprio Paese è difficilmente concepibile senza l’amore per la propria lingua», ha dichiarato il giornalista Stefan Berg in un commento su Der Spiegel. Un compromesso forse eccessivo per uno dei politici che più di altri ha segnato in maniera profonda gli ultimi vent’anni della Germania.
Classe 1956, Steinmeier era già uno degli esponenti più importanti della socialdemocrazia quando a guidare la Cancelleria c’era Gerhard Schröder: ha ricoperto il ruolo di Capo della Cancelleria federale, è il funzionario più alto della cancelleria tedesca e l’assistente principale del cancelliere, incaricato di coordinare le attività del governo.
Quello è stato solo il primo gradino di una lunga scalata che lo ha portato prima a diventare ministro degli Esteri del governo Merkel I, poi candidato alla Cancelleria nel 2009 (trascinando però la Spd a uno dei suoi risultati peggiori, con il 23% delle preferenze), infine nuovamente nell’ex edificio della Reichsbank nel governo Merkel III.
Il colpo a vuoto del 2009 non ha cambiato la carriera di un uomo capace di incarnare la stabilità delle istituzioni tedesche e di non perdere la bussola anche in un periodo come quello della pandemia. Un momento nel quale non solo è riuscito a sbrogliare matasse difficili – come il rapporto con l’Italia incrinatosi dopo le difficoltà a far partire i dispositivi di protezione e riassestato con l’offerta di trasferire i malati italiani in Germania – ma anche a tendere una mano ad avversari come i no vax.
«In una democrazia non dobbiamo essere tutti d’accordo. Ma ricordiamoci: siamo un solo Paese. È naturale che ci siano litigi, insicurezze e paure, ma serve parlare apertamente. Ciò che conta è come ne parliamo: in famiglia, con gli amici, in pubblico. È importante vista la crescente frustrazione, irritazione, alienazione e purtroppo anche aperta aggressione che si sente in giro». La convinzione resta la prima arma: un ottimo modo per prepararsi a iniziare il secondo mandato.