Quante volte di fronte a un medico appena conosciuto non ci siamo sentiti compresi e per questo non ci siamo sentiti al sicuro, e dunque abbiamo iniziato a temere per i nostri progetti di vita, per la nostra famiglia?
Nei rapporti, in particolar modo in tutti quelli basati sulla fiducia, a determinare l’esito non concorrono solo le competenze ma anche altri fattori come l’empatia e la capacità di avviare la relazione su canali di apertura al dialogo e soprattutto all’ascolto. Anche il miglior medico del mondo può trovarsi in difficoltà se non parla la stessa lingua del paziente e non entra in empatia con lui.
Si tratta delle life skills, cioè di quelle abilità che portano a comportamenti positivi e di adattamento, e che rendono le persone, prima ancora che i professionisti, capaci di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni. Tra questi “saperi” possiamo annoverare di sicuro la capacità di gestire le emozioni o lo stress, l’adozione di una comunicazione efficace, l’utilizzo dell’empatia, del pensiero creativo e di quello critico, oltre alla capacità di prendere decisioni e a quella di risolvere problemi.
Molte aziende, in controtendenza rispetto ai governi, hanno già da tempo cominciato a investire in un’educazione del proprio capitale umano comprensivo anche di queste abilità, certe e consapevoli che per prendersi cura del proprio stato di salute e garantirsi sviluppo e crescita in un’ottica di più lungo periodo, quindi per rendersi realmente sostenibili, non si debba mai smettere di informare e di formare.
Di alimentare costantemente, cioè, l’insieme di conoscenze, competenze, abilità, idee, aspirazioni ed emozioni che vengono acquisite e sviluppate da ciascun individuo nell’arco dell’intera vita e che, permettendogli il raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, hanno naturali ricadute positive sull’intera collettività.
Non ho conosciuto, almeno sino ad oggi, una maniera per sviluppare il capitale umano delle persone che non passi dall’educazione. L’educazione non è solo il sapere o la cultura o l’apprendimento delle nozioni specialistiche o tecniche che ci permettono di svolgere le nostre professioni: l’educazione abbraccia in maniera olistica la materia esperienziale di cui siamo fatti.
È dunque con estremo interesse e grande curiosità che ho accolto la notizia dell’approvazione da parte della Camera dei deputati della proposta di legge per l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico. Una proposta che ora passa al Senato e in cui si parla di competenze come amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale, flessibilità, creatività, attitudine alla risoluzione dei problemi, capacità di giudizio, capacità di argomentazione e capacità di interazione.
Ho letto che saranno le singole scuole, nella propria autonomia, a candidarsi e a stabilire quali competenze non cognitive potenziare di volta in volta e che si partirà con una sperimentazione triennale già dal prossimo anno scolastico 2022/2023. Tuttavia, il mio auspicio è di veder fiorire le candidature e di vedere un interesse crescente e un crescente coinvolgimento delle istituzioni e degli istituti che hanno a che fare con la costruzione dei “nuovi cervelli”. Cioè di quello dei nostri bambini, poiché è proprio attivandoli sin dalle primissime fasi della vita che potremo donare ai nostri figli gli strumenti per affrontare la serie di sfide future che troveranno sul proprio cammino, e di conseguenza rafforzare le nostre società nella gestione di quei problemi complessi che già oggi hanno un impatto proprio su di esse, e che rischiano di diventare sempre più difficili man mano che i nostri figli crescono.
Investire nella prima infanzia è un valore inequivocabile, secondo il premio Nobel ed economista James Heckman, PhD, in “The Lifecycle Benefits of an Influential Childhood Program” ha stabilito che programmi di alta qualità possono offrire anche ai bambini svantaggiati un ritorno sull’investimento fino al 13% annuo. Ora più che mai, poiché è l’intero mondo a dover affrontare sfide complesse a livello globale, dalla pandemia ai cambiamenti climatici, è importante che ogni singolo stato lo faccia in modo strategico. E il miglior investimento in tempi di cambiamenti rapidi è l’investimento nel capitale umano.
Sulla base di tutto ciò che le neuroscienze ci dicono oggi sull’importanza dello sviluppo precoce del cervello e del bambino, sono più che mai convinto che il raggiungimento dell’obiettivo di una nuova visione del Mondo e della sua edificazione debba quindi includere investimenti nel capitale umano infantile.