Naturalmente quasi tutti ora si intestano la rielezione di Sergio Mattarella, e va benissimo perché ciò che conta è il risultato finale – Draghi ancora a Palazzo Chigi a guidare il paese – non perdere tempo a biasimare chi consapevolmente o no ha provato a far cadere il governo, a interrompere anticipatamente la legislatura e ad accelerare la corsa verso un frontale che sarebbe stato devastante per l’Italia e, come ha scritto l’Economist, anche per l’Europa.
La coppia Mattarella-Draghi, come per mesi ha scritto con pervicacia solitaria un piccolo giornale d’opinione, è la garanzia di continuità dello splendido lavoro compiuto dall’attuale governo almeno fino a quando non ha pensato ad altro. Un lavoro ancora in corso e necessario a completare le riforme che servono per ottenere i finanziamenti europei, oltre che fondamentale per l’esecuzione del piano di ripresa nazionale a pandemia non ancora domata del tutto.
C’è un anno di tempo prima delle prossime elezioni, utilissimo per consolidare la credibilità e l’autorevolezza italiana in attesa delle sfide della prossima stagione politica.
Altrettanto necessario però è prefigurarla, questa prossima stagione politica che va dal 2023 al 2028, evitando di arrivarci senza nessuna strategia come sull’elezione del presidente della Repubblica.
Le scorie quirinalizie ci consegnano una destra antiatlantica guidata da dilettanti allo sbaraglio, una sinistra che durante le trattative sul Colle ha scoperto, ma guarda un po’, che il cosiddetto «leader fortissimo di tutti i progressisti» in realtà è «il Giuda di Volturara Appula», i Cinquestelle balcanizzati dalla loro stupefacente inadeguatezza (con l’eccezione, è dura ammetterlo, di Di Maio), e un centro che va dai riformisti del Pd a quel che resta di Forza Italia frammentato, litigioso e ancora insignificante.
Questa è la situazione e da qui bisogna ripartire, con la protezione che garantiscono Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi fino alla scadenza naturale della legislatura.
C’è una sola strada per riaggregare le forze politiche e la società italiana secondo criteri adeguati al tempo che viviamo, con Donald Trump che organizza un colpo di Stato in vista del 2024 e Putin che schiera l’armata rossa ai confini europei.
Questa strada non è quella novecentesca della destra contro la sinistra, non è quella “strategica” dell’allearsi a destra con i sovranisti e a sinistra con i populisti per romanizzare i barbari, anche perché poi si finisce barbarizzati. E non è nemmeno quella dell’alternativa centrista per fare da ago della bilancia tra gli estremi, tanto meno come fine ultimo dell’azione politica.
L’alternativa è quella di mettere i paletti tra i partiti costituzionali e quelli no, tra quelli repubblicani e quelli no, tra quelli europei ed atlantici e quelli no.
Di fronte a una minaccia seria alla società aperta non c’è da fare tanto gli schizzinosi: prima si difendono le fondamenta e poi, a casa messa in sicurezza, si discute e ci si divide su come arredarla. Insomma, la strada è quella di un fronte liberale e democratico contrapposto culturalmente prima ancora che elettoralmente al bipopulismo italiano dei Cinquestelle, degli orbaniani, dei trumpiani, dei putiniani, insomma dei neo, ex, post fascisti sia rossi sia bruni.
Per arrivarci, in questo anno pieno che manca al voto, sono necessarie tre precondizioni: l’area liberal-democratica deve mettere da parte risentimenti e rancori adolescenziali e agire come un soggetto politico credibile; il Pd deve liquidare la tragicomica linea pro Conte e panchinare i suoi simpatizzanti interni; i presentabili di Forza Italia, cui va l’imperituro ringraziamento per aver bocciato la collega di partito Elisabetta Casellati, devono prendere coraggio e salutare definitivamente la coalizione Visegrad (Carfagna, Gelmini, Brunetta: ci siete?).
A quel punto resterebbe da fare una sola cosa, mentre Draghi intanto governa, per chiudere la parabola virtuosa di una legislatura nata populista e indirizzata sulla grandiosa via d’uscita antipopulista: una legge elettorale di una riga che ripristini il sistema di elezione proporzionale dei deputati e dei senatori identico a quello delle origini della Repubblica. O anche una legge di due articoli, per inserire nel secondo paragrafo una quota minima di sbarramento all’ingresso in Parlamento.
In questo modo sarebbe tutto apparecchiato per un prossimo Parlamento, purtroppo mutilato penosamente a causa dell’ottusità delle camere attuali e del successivo referendum costituzionale, senza più pericoli per la tenuta democratica del paese e che possa continuare l’opera di risanamento e di transizione post Covid in un contesto europeo e occidentale, con Mario Draghi ancora a Palazzo Chigi per assolvere il compito che Mattarella con perizia gli ha assegnato.
Vediamo di non sprecare anche questa formidabile occasione, dopo quella servita un anno fa da Mattarella e da Draghi alla politica.