Mattarelliani della prima oraLa settimana in cui hanno vinto tutti (e non è ancora cominciato Sanremo)

I leader, chiamiamoli così, rivendicano la sagacia e la lungimiranza con cui hanno rieletto il presidente Mattarella. In realtà non è cambiato niente, non sono a partita Iva, hanno il posto fisso come Checco Zalone

Ex Reipublicae Italicae praesidentis breviloquentis pagina

«Cadranno tutti i candidati, uno a uno, e arriveremo noi, salvifici e riposati». Lo dice Andreotti nel Divo, potrebbe averlo detto Mattarella questa settimana. Venerdì sera – mentre Letta diceva che è tutto molto difficile, Conte e Salvini dicevano che avrebbero eletto una-donna-ma-non-perché-donna – guardavo in tv Il divo e mi chiedevo cosa fosse cambiato dal 2008 a oggi: perché quello che non mi era parso allora niente di che mi pareva ora un gran film? 

Forse per quell’altra battuta in cui Andreotti dice che è di altezza media ma non gli pare di vedere giganti: forse in questi quattordici anni abbiamo visto tanti di quei film brutti, e di quegli scappati di casa al governo, che l’attività precipua della nostra mezza età è rivalutare tutto quel che avevamo liquidato in gioventù, da Berlusconi a Sorrentino. 

Quindi, il riassunto di questo weekend non esattamente da leoni è che la classe politica italiana, che già non era riuscita a esprimere un presidente del consiglio, neanche quello della repubblica è stata capace di scegliere. Se fossero a partita iva, farebbero la fame. Per fortuna hanno un posto simile a quello fisso di Zalone. 

Se fossi Salvini, direi che se non era per me. Se non era per me che vi salvavo, terrorizzandovi con la prospettiva d’un festival di Sanremo marginalizzato, non vi sbrigavate a supplicare il ritorno di Mattarella, a procurarvi un presidente purchessia, pur di chiudere questa diretta perpetua, se non era per me, alla quinta donna che mi bocciavate. (A un certo punto ha proprio detto «alla quinta donna», e io ho pensato che avvicenda potenziali presidenti con vagina come certe finte bionde avvicendano le colf, mai soddisfatte di come lucidano l’argenteria, mai facendo loro superare il periodo di prova; anzi no, le finte bionde licenziano in proprio, a Salvini a quanto pare gliele hanno bocciate gli altri, le colf – scusate, le presidentesse). 

Se io fossi Conte (il centrino, no il cantante), direi che è andata esattamente come l’ho pilotata io. Cosa c’entra, avevo scritto che l’avrebbero eletto durante Sanremo e l’hanno eletto tre giorni prima che cominciasse il festival, su, non cavillate, è ovvio che l’avevo scritto come provocazione, come sprone, è sempre stato tutto sotto controllo, è andata come volevo io che Mattarella l’ho sempre stimato tantissimissimo, a nome mio e del partito che ne voleva la messa in stato d’accusa (ma in realtà volevamo fare il brunch, è che pronunciamo male ed era sembrato impeachment). 

Se io fossi Renzi, direi che il presidente bisogna farlo eleggere al popolo, perfetto complemento a quell’altro fulmine di guerra che vuole dare il voto ai sedicenni. Invece di levare ogni possibilità di scelta a una popolazione fatta di cretini, e lasciarla agli altrettanto cretini (ma almeno in numero minore) che la rappresentano, invece di chiedere il ritorno al telegrafo, Renzi appare in televisione e bello pacioccone dice che questo sistema va cambiato perché è pensato «per un mondo che non aveva le televisioni, non aveva i social». Dai, eleggiamolo col televoto, che modernità, che frisson. 

Se io fossi Renzi, ma anche Casini, ma anche una qualunque soubrette, instagrammerei una mia foto con Mattarella, non avere una foto con l’uomo del giorno è un drammatico segno d’inesistenza, in questo mondo che Renzi vuole incentivare e che farebbe piangere qualunque persona sana di mente (pare ne siano rimaste un paio in certi seminterrati dove non arriva il wifi). Oltretutto, rispetto al solito, Mattarella ha il vantaggio d’essere vivo: di solito l’uomo del giorno con cui è necessario avere una foto è un morto. 

Se io fossi Arisa, piglierei uno per uno questi che continuano a ripetere «né vincitori né vinti» e gli farei presente che il verso successivo era «si esce sconfitti a metà» (e comunque due settimane dopo quel Sanremo lì è morto Lucio Dalla, se vi pare un bel presagio in tema di padri della patria). 

Se io fossi una ladra di battute, per riassumere questa settimana d’imbarazzi plurimi ruberei quella di Mentana: neanche lunghi coltelli, coltellino svizzero. (Ma anche: leader è una parola grossa). 

Se io fossi la ditta di traslochi del cui camion c’era giorni fa una foto sul Corriere, la ditta che stava portando fuori dalla casa di Palermo di Mattarella un materasso avvolto in giallo, stava svuotando l’appartamento palermitano per portarne gli arredi in uno romano, se io fossi quella ditta gli farei un forfait, un abbonamento, metti la cera, togli la cera, trasloca Palermo, trasloca Roma, qualcuno ci pensa allo stress, alle spese, domani qualche giornale intervisterà un luogocomunista che ci dica, se il trasloco è il terzo fattore di stress dopo il lutto e il divorzio, a che posto sta essere presidenti d’una repubblica i cui deputati e senatori sono incapaci d’eleggere un nuovo presidente, talmente incapaci che considerano l’ipotesi di demandare il compito all’elettorato, perché loro prendere una decisione mai, loro vogliono solo prendere cuoricini, il voto ai sedicenni e facciamogli eleggere anche un presidente della Repubblica, uno youtuber al Quirinale, cosa potrà mai andar storto. 

Meno male che adesso stiamo tranquilli per un po’, fossi Mattarella penserei, come l’Andreotti di Sorrentino, «È andata sempre così: mi pronosticavano la fine, io sopravvivevo, morivano loro».