Una buona ideaLa mossa del cavallo di Salvini e il possibile governo del tutti dentro

Il leader della Lega propone di lasciare a Palazzo Chigi Mario Draghi, ma inserendo nell’esecutivo tutti i leader di partito. L’ipotesi è tutta da verificare, ma si avvicina molto a quello che cerca il Nazareno: continuità e scongiurare le elezioni

Anche Matteo Salvini può avere una buona idea. Nella partita a carte sul nuovo presidente della Repubblica il capo della Lega ha a sorpresa fatto la sua mossa del cavallo e calato sul tavolo l’ipotesi di un governo con dentro «gli assi di briscola», cioè con tutti leader dei partiti «nessuno escluso», governo naturalmente guidato da Mario Draghi perché «se togli il tassello più importante non so come ne usciremmo». Ma in ogni caso per lui la legislatura deve andare avanti: musica per il Nazareno. 

La sortita di Salvini potrebbe cambiare il quadro psicologico della situazione: la questione sembra passare dal se avere Draghi a palazzo Chigi al come averlo. Sgombrando la discussione sul Quirinale dal macigno rappresentato appunto dal futuro dell’esecutivo. 

Peraltro il metodo salviniano – mettere al riparo Draghi e poi discutere il nome del prossimo inquilino del Colle – somiglia molto a quello che sembra avere in testa Enrico Letta, la cui principale preoccupazione – ha detto – è quella di scongiurare elezioni e anzi garantire continuità nell’azione di governo, cosa che è possibile realizzare se ci si mette d’accordo innanzi tutto sul futuro del governo. 

La possibile convergenza Salvini-Letta potrebbe essere verificata in un confronto a due nei prossimi giorni, naturalmente top secret, perché da diverse parti si ritiene che il boccino sia soprattutto nelle mani dei capi di Pd e Lega. 

La fattibilità di un rimpasto con l’ingresso dei segretari nell’esecutivo (magari senza portafogli) è ovviamente tutta da verificare ma non appare peregrina dato che lo stesso Draghi in privato si è lamentato di un insufficiente appoggio dei leader dei partiti della maggioranza nell’ultimissima fase, ed è verosimile che la famosa cabina di regia non basti più a garantire le giuste e indispensabili mediazioni. 

Ma è indubbio che, a parte l’ultimatum pro domo sua di Silvio Berlusconi che minaccia sfracelli se Draghi lasciasse palazzo Chigi, tesi confermata ieri da Licia Ronzulli e indirettamente da Maurizio Gasparri, con la proposta di Salvini si può dire che certamente il centrodestra non vuole il trasloco di SuperMario al Quirinale (di diverso avviso Giorgia Meloni che però in questa vicenda non sembra contare molto). 

Basta questo per dire che il presidente del Consiglio non potrebbe mai affrontare il voto segreto senza il serio rischio di finire impallinato davanti a tutto il mondo. È anche la preoccupazione del segretario del Pd, sempre allarmato dall’attivismo di Berlusconi, che però sembra perdere pezzi nel nuovo Centro di Toti e Brugnaro mentre, attendendo le mosse di Matteo Renzi, sempre al Centro decolla la federazione tra Azione di Carlo Calenda e +Europa, superfavorevoli alla premiership di Draghi (mentre per il Colle lanciano Emma Bonino). 

C’è da chiedersi se Letta, Conte e Renzi disdegnerebbero la possibilità di entrare in un governo Draghi rilanciato, è tutto da discutere ma il fatto nuovo c’è e non è passato inosservato al Nazareno, dove ormai è manifesta la speranza che Sergio Mattarella accetti un secondo mandato. 

Ma è chiaro che dell’ipotesi prospettata da Salvini la cosa importante è la volontà di proseguire l’esperienza del governo Draghi di fronte alle «tante cose da fare in questi mesi che ci accompagnano alla fine della legislatura». Cosette che si chiamano lotta alla pandemia, giunta ormai a uno snodo drammatico, e rilancio del Paese sulla base delle riforme richieste dal Piano nazionale di resistenza e resilienza: e sembra che quella che si sta facendo largo nel modo politico è la consapevolezza che occorra per questo un rafforzamento politico, nella compagine e nel programma, del governo Draghi. Chiarito questo, anche un accordo sul Quirinale potrebbe essere più agevole. Se non prevalgono interessi personali od obliqui disegni politici contro il Paese.

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