Potrà sembrare strano ma in Parlamento non c’è molta voglia di menare le mani. L’impressione è più che schierare gli eserciti, si stia pensando a come arrivare all’armistizio. Al Grande Accordo.
Certo, c’è la variabile Berlusconi che in teoria può impazzire trascinando i Grandi elettori nel caos: ma nessuno crede che veramente il Cavaliere pensi di farcela, anche se tentar non nuoce, e per questo verificherà nelle prime tre votazioni se egli possiede realmente delle possibilità per poi far pesare i suoi voti a vantaggio di un nome del centrodestra (Franco Frattini, Letizia Moratti, Maria Elisabetta Casellati) o cercare l’accordo su un nome di alto profilo molto gradito al centrosinistra (Giuliano Amato, Marta Cartabia, con l’incognita del Mattarella bis, ipotesi che non decresce).
Come si vede, in questo scenario il nome di Mario Draghi non compare. E a quanto è dato di capire non compare nemmeno nell’elenco di quirinabili che si aggiorna ogni giorno al Nazareno.
Enrico Letta ha un solo desiderio che non è poi così lontano dalla realtà: non farsi male. E infatti, tornando al clima di queste ore, non è detto che dopo le schermaglie di rito a un certo punto sull’assemblea dei 1009 Grandi elettori non scenda un’aria primaverile, di non-scontro, più consona all’emergenza di questa lunga fase della storia italiana che non potrà non influire sullo stato d’animo dei parlamentari.
Tutto può succedere, sia chiaro. Ma ieri per qualche ora si è respirata un’aria diversa, certamente dovuta alla solenne commemorazione in Parlamento di David Sassoli, un momento che una volta tanto è stato toccante e vero nel suo concorde riconoscimento della figura dello scomparso presidente del Parlamento europeo.
Come se dinanzi a certe cose, all’ingiustizia di una morte prematura, alla levatura del personaggio scomparso, fossero d’incanto scomparse le distinzioni tra europeisti e non, tra draghiani e antidraghiani (tra l’altro il presidente del Consiglio ha parlato con emozione in Aula: «Sassoli voleva un’Europa capace di raggiungere risultati, di proteggere i suoi cittadini, di promuovere il loro benessere e di aiutarli a costruire il proprio futuro»).
È un’illusione ottica o un viatico di un clima diverso? È il clima che Enrico Letta desidera, quello in cui può nascere una decisione condivisa, senza che nessuno si faccia male, ed è quello che il segretario del Partito democratico auspicherà domani nella riunione dei gruppi parlamentari e della Direzione: «Datemi un mandato pieno a trattare per una soluzione la più autorevole e larga possibile», si limiterà a chiedere.
Con il corollario che riguarda il governo all’insegna della «continuità» (che non significa per forza – qui c’è ancora ambiguità, ce l’hanno anche Pier Luigi Bersani, Giuseppe Conte, Matteo Renzi – Mario Draghi a palazzo Chigi). Ma la novità è che Letta sembra rovesciare i termini della questione: non più concordare il nome del presidente della Repubblica e poi vedere cosa fare con il governo, ma il contrario, prima un accordo sul governo e poi la scelta del successore di Sergio Mattarella.
E se si parte da Chigi, è molto più forte l’idea di «preservare Draghi» nel suo ruolo attuale. A quel punto un possibile ordine di preferenze del Nazareno sarebbe: Mattarella bis (molti parlamentari seguiranno Matteo Orfini nello scrivere il suo nome sulla scheda fin dalla prima votazione); Giuliano Amato; Marta Cartabia; su un nome di destra, si aspetta che lo faccia la destra, una volta caduto Berlusconi. Complice un clima diverso e la persistenza dell’emergenza Covid, che potrebbe riverberarsi anche sui Grandi elettori, forse c’è più aria di accordo che di scontro. Fino a prova contraria, s’intende